Dal nostro inviato ad Hammamet
C'è la rosa del deserto, poggiata proprio sulla pietra del sepolcro, e poi gli immancabili garofani rossi ad accompagnare l'iscrizione. La tomba di Bettino Craxi, sulla nuda terra del piccolo cimitero cristiano, dà sempre le vertigini. Se alzi lo sguardo, fra quelle pietre semiabbandonate, vedi il muraglione della Medina che incombe. E pensi che la storia e la geografia non hanno ancora fatto pace. Però oggi fra queste lapidi desolate, sferzate dal mare imbronciato, c'è un pezzetto di Italia, orgoglioso di esserci; ci sono le autorità, come si dice in questi casi, il presidente del Senato Ignazio La Russa, e il ministro degli Esteri Antonio Tajani e, piccola sorpresa, anche molti connazionali che ormai abitano, complice la crisi, in questa cittadina affacciata sull'Italia.
Una breve cerimonia religiosa: don Domenico Paternó, salesiano, spinge verso il cielo le parole del Padre nostro e la nostalgia cede il passo ad un'inattesa familiarità.
Tutti ad Hammamet ormai parlano italiano e tutti ti portano, se lo chiedi, a casa Craxi, quasi un monumento incastrato fra gli hotel carichi di stelle e le spiagge che fanno tanto Rimini.
Ignazio La Russa, che al mattino ha inaugurato una mostra con i quadri di Nani Tedeschi, passeggia nel vialetto del camposanto e riflette: «Ero già venuto qua in forma privata tanti anni fa, ma è arrivato il momento di tornare in forma istituzionale. In un certo senso eravamo in debito con lui, l'Italia era in debito perché non gli fu permesso di curarsi nel nostro Paese». Fra feroci polemiche e fantomatici salvacondotti giudiziari che non gli furono mai accordati.
E lui si spense il 19 gennaio 2000, mentre la figlia Stefania era andata in cucina a prendergli un bicchiere d'acqua. Il corpo è ancora qui, ma è cambiata la percezione: allora si parlava di latitanza, oggi tutti usano la parola esilio.
«Quando la cronaca si eclissa, entra in gioco la storia - riprende La Russa - e nella storia Craxi ha certamente un posto».
Tajani, accerchiato dalle telecamere, si ferma fra quelle croci e quei nomi ormai sbiaditi, talvolta quasi illeggibili, e punta il dito contro quel clima: «Craxi fu vittima di un giustizialismo dissennato, ma è un uomo che ha dato molto alla politica italiana. È stato con Andreotti e Berlusconi uno dei grandi protagonisti della politica estera ed è stato un riformista che non si è sottomesso all'egemonia del Partito comunista. Lui era socialista e i socialisti erano un'altra cosa, anche culturalmente, rispetto ai comunisti».
Il vicepremier cita il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, del 1987, e arriva alla separazione delle carriere, appena approvata in prima lettura alla Camera. Anche qui c'è un filo che corre dagli anni Ottanta ad oggi e c'è un'eredità, una continuità anche su questo controverso versante: «La separazione delle carriere - nota il leader di Forza Italia - non vuol punire i magistrati, ma semmai esaltarli». Si cambia la Costituzione per sconfiggere i veleni del correntismo, d'accordo, ma soprattutto per allineare la Carta fondamentale al codice di procedura penale, frutto di quelle stagione, e in vigore dal 1989.
Sventola qualche bandiera, si scattano selfie, la security tunisina cerca di contenere la piccola folla, Bobo Craxi, appartato, saluta gli amici, poi scivola via in un caffè vicino. Stefania invece si infila nel labirinto della Medina, arriva con Tajani fra i tavoli, con vista sulle onde, di un locale che è centrale negli ultimi anni di Bettino, Sidi Bouhdid: «Papà si sedeva qui fuori, fino alle due, le tre di notte, mentre i camerieri mettevano a posto, e si illudeva di vedere l'Italia».
C'è anche una sua foto sorridente fra le tantissime che riempiono le pareti e raccontano le storie di chi ha dato lustro ad Hammamet: politici e amministratori locali, ma anche Claudia Cardinale e Winston Churchill. Tajani sorseggia un tè alla menta, Stefania rievoca la colonna sonora delle due grandi stagioni, divise dal fossato di Tangentopoli: «Prima Sidi Bouhdid voleva dire musica, poi negli ultimi tempi per papà era solo silenzio». Le parole, in quei frangenti, servivano a poco.
«Se siamo qui in tanti - afferma un vecchio militante, commosso - significa che Craxi andava oltre gli avvisi di garanzia e le condanne, ora finalmente lo si riconosce».
Ma una parte del Paese si tiene alla larga dall'esercizio della memoria: «Craxi - conclude Stefania - apparteneva alla sinistra, anche se oggi certe categorie non hanno più senso.
Però quelli di sinistra, se vengono, vengono alla spicciolata, come Ettore Rosato o Giorgio Gori, o non vengono affatto». E quell'eredità viene consegnata al centrodestra col suo patrimonio di intuizioni.Sul registro del cimitero restano quelle firme: «A nome di tanti italiani, Ignazio La Russa». Sotto, «Tajani».
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