
Alle nove del mattino il Cupolone quasi sparisce dentro una nuvola. I primi ad arrivare sono due grandi vecchi: il cardinale Camillo Ruini, a lungo leader della Chiesa italiana, si siede nel vuoto. E rimane un'ora immobile e solo, ricurvo sui suoi 94 anni. Un attimo dopo, dalla cancellata di San Pietro, sbuca Joe Biden che si defila con la moglie Jill fra le retrovie dei vip: la storia è andata avanti a gomitate, negli ultimi mesi, quello è il posto che gli spetta. E non si capisce bene se questo funerale chiuda un'epoca o ne apra una nuova. Di sicuro c'è la folla che preme da via della Conciliazione come una grande onda. Duecentocinquantamila persone, quattrocentomila conteggiando anche quelle sul percorso verso la tumulazione, orfane di Francesco e fra di loro anche i poveri, i migranti, i carcerati che lui andava a trovare.
Il colonnato del Bernini sembra abbracciare tutti: i disperati e i padroni del mondo che finalmente prendono posto nel settore a destra dell'altare, in faccia ai cardinali.
Sembra di stare alla cerimonia d'apertura dei Giochi olimpici, ma il cast è stellare: ogni minuto compare nel silenzio generale un personaggio che da solo farebbe notizia. Ecco Ursula von der Leyen, che indossa un tailleur nero con bottoni dorati e i reali di Spagna: Felipe è con la consorte Letizia, in nero con mantiglia e spilla argentata. Sergio Mattarella è accompagnato dalla figlia Laura, il Presidente argentino Javier Milei, che si colloca vicino agli italiani, è con la sorella Karina. Finalmente si scorge Donald Trump che è in blu, con la consorte Melania, tacchi a spillo e veletta, nel giorno del cinquantacinquesimo compleanno. Si viene a sapere che Trump ha parlato brevemente col principe William, ma soprattutto ha avuto dentro la basilica un meeting di 15 minuti con Volodymyr Zelensky. Un incontro che viene definito molto positivo.
E forse è questo il primo miracolo di Bergoglio: la bara entra nella piazza scortata da un lunghissimo corteo di cardinali. Il feretro in legno viene portato a spalla dai 14 sediari con i guanti bianchi e viene adagiato su un lieve rialzo, davanti all'altare.
Il sole ha conquistato San Pietro, il popolo applaude, il cardinale Giovanni Battista Re, decano del sacro collegio, inizia la funzione. Dall'alto la visione è quella di un pennello impressionista: la grande macchia rossa, rossa come il sangue versato da Cristo, dei 220 cardinali che si preparano al conclave; poi c'è il nero delle autorità e i copricapi dei patriarchi, che dall'alto svelano fogge imprevedibili. Meloni, che ha oltrepassato la cancellata con l'onnipresente e ubiquo Trump, ha i capelli raccolti in uno chignon. Emmanuel Macron è con Brigitte, Zelensky è laggiù, quasi in fondo alla prima fila. Quasi all'ingresso della basilica.
Le letture sono in inglese e spagnolo, il Vangelo di Giovanni, in latino, riporta il dialogo struggente fra Gesù e Pietro: «Simone, mi ami tu più di costoro? Pasci i miei agnelli».
È l'inizio di una storia: la guida della Chiesa viene affidata a Pietro. Duemila anni dopo è toccato a Francesco.
Re ne ripercorre la vita: «Innumerevoli sono i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei rifugiati e dei profughi. Costante è stata anche l'insistenza nell'operare a favore dei poveri. È significativo che il primo viaggio sia stato quello a Lampedusa». La piazza, ingrossata come un fiume in piena, ora vibra e libera un lungo battimani. Adesso sono i volti rugosi di quelli in fondo, le ultime file dei disgraziati che sarebbero piaciuti al Caravaggio, ad essere al centro della scena. Le teste coronate lo sanno e scrutano quella selva di occhi e mani che le guardano da lontano, oltre i recinti, oltre le transenne, oltre le divise della polizia, dei carabinieri, della finanza e pure dei gendarmi francesi.
Le agenzie battono in tempo reale la notizia che Trump e von der Leyen si sono stretti la mano e presto si vedranno. E non è chiaro se se lo siano detti prima, in San Pietro, o lì, sul palcoscenico del mondo, ma poco importa. Oggi è un giorno di speranza, la speranza che Bergoglio ha portato nelle periferie, negli slum più disastrati dell'Africa, fra le macerie di Gaza dove telefonava tutti i giorni.
«Di fronte all'infuriare delle tante guerre di questi anni - prosegue Re - Papa Francesco ha incessantemente elevato la sua voce implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, perché la guerra è solo morte».
Da via della Conciliazione è tutto uno scrosciare di mani. Un corrispondente ucraino, immerso in una selva di cavi e telecamere, piange. Ma i droni e l'elicottero che volteggia ricordano che le regole di ingaggio sono quelle che sono.
E però i capi della terra sono lì, in quel fazzoletto di sedie, fra cravatte e veli, e pare che anche loro sentano quel fremito di inquietudine e attesa.
La cerimonia corre verso la fine. Incenso, benedizioni e melodie bizantine dolcissime. La voce dell'eterno che si infila quaggiù. La folla non vorrebbe più andarsene. Invece, la bara esce, sorretta dai 14 sediari. I vip sono tutti in piedi e anche Trump batte le mani.
Cinque minuti e i maxi schermi nella piazza trasmettono immagini sempre più lontane: pare una gara
ciclistica, è la volata della Papamobile verso la meta definitiva, Santa Maria Maggiore. In un mare di telefonini e applausi.Pochi, pochi davvero si fanno il segno della croce. Ma il Papa di strada oggi è in mezzo a loro.
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