«Sì, certo, aveva umanità, rispetto, garbo, grande passione per il giornalismo e rigore professionale. Ma si può anche sottolineare un altro aspetto importante per un giornalista televisivo: era un grande anchorman all'americana, con quegli occhi azzurri e una bellezza da attore che bucava lo schermo. In più, era anche intelligente. E quindi non si adagiava sull'aspetto fisico, non si fermava al lavoro di conduttore, ma andava in giro a scoprire e raccontare il mondo».
A soffermarsi sul lato «apparente» di David Sassoli è un collega che di tv ne ha fatta tanta e che lo ha conosciuto fin dai suoi esordi nella Tv di Stato: Antonio Di Bella, appena tornato dagli Stati Uniti per assumere la direzione di genere del Day Time. La notizia della morte del collega lo ha scosso profondamente, hanno la medesima età e iniziato negli stessi anni: nel 1992 David era approdato in Rai nelle trasmissioni di Michele Santoro Il rosso e il nero e Tempo reale per poi passare nella redazione del Tg3 (dove c'era Di Bella, già allora a New York) e arrivare velocemente al Tg1 nel 1999 prima come inviato speciale, poi conduttore e vice direttore fino al 2009 quando decise di entrare in politica.
Sassoli era telegenico, ma non se ne compiaceva. Per questo era molto amato dal pubblico.
«Infatti era una presenza discreta. Seguiva gli insegnamenti di Albino Longhi: si deve entrare in punta di piedi in casa degli spettatori all'ora di cena. Il rispetto era una delle sue doti più grandi: si era formato con le figure di David Maria Turoldo e Giorgio La Pira. Gli ho sempre invidiato questa sua profonda voglia di servire l'altro, di attenzione al sociale. Mi restano scolpite due sue richieste: aprire le porte del Parlamento europeo a chi soffre il freddo e non infliggere il rigore alle popolazioni che soffrono».
Un ricordo di lui?
«Una sera a cena, era deluso per qualche problema sul lavoro, quando ancora era in Rai. Diceva che tanto poteva tornarsene in Toscana dai suoi ulivi. Ma non lo diceva per vezzo come tanti colleghi attaccati alle poltrone».
Cosa ha rappresentato per la televisione pubblica?
«È stato e rimarrà un grande esempio per i giovani che si affacciano alla professione del giornalismo. Ha realizzato il sogno di fare l'inviato sui grandi fatti e il conduttore dell'edizione più importante del Tg1. Molti giornalisti fanno il salto in politica ma poi delusi tornano indietro. Lui invece ha avuto anche lì un tale successo da diventare presidente del Parlamento europeo. Un italiano a tutto tondo, un artista poliedrico».
Il cordoglio è stato unanime e universale.
«Ed in questo io leggo un segno di speranza. È riuscito ad ottenere il rispetto degli avversari, anche di chi ha idee molto diverse da lui, tralasciando ovviamente i dementi che hanno inneggiato alla sua morte sui social. Io vengo da una terra, gli Stati Uniti, dove repubblicani e democratici - anche le persone comuni - si parlano solo per insultarsi. Lui ha unito tutti».
Anche nella sofferenza, non ha voluto disturbare
«Infatti non si sapeva che stava così male.
Ha voluto dissimulare fino all'ultimo senza indulgere nel pietismo. Di lui ci restano due immagini che si possono sovrapporre: mentre piccona il muro di Berlino da inviato del Tg1 e mentre parla da presidente del Parlamento contro tutti i muri».
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