Abiti-capolavoro di mani fatate Chanel mostra dietro le quinte

Cesare Cunaccia

Con il défilé «Les ateliers de la haute couture», Chanel e Karl Lagerfeld rendono omaggio al lavoro dietro le quinte della grande moda, alle mani fatate e pazienti delle premierès e sarte che ancor oggi rendono possibile la realizzazione di abiti-capolavoro come quelli che abbiamo appena visto sfilare sotto l'immensa volta vetrata del Grand Palais. Nessuna scenografia magniloquente o evocativa, ma solo banchi e tavoli attorniati dalle impareggiabili maestranze della Maison, intente a cucire, a drappeggiare chiffon sui classici manichini d'atelier, a ricamare o tagliare stoffe preziose. Un vero inno a questo mestiere sublime, a questa disciplina che sfiora la mistica e che richiede infinita dedizione, tempo e sacrificio. L'effetto generale era quello di una seduta di fitting. La sfilata si apriva su una sorta di elogio del tweed, materia simbolo di Chanel, per passare via via a un ventaglio di ispirazioni colte e molto Lagerfeld, che attraversavano il chiaroscurale barocco iberico della pittura di Velázquez e Sanchez Coello e il suprematismo architettonico di Tatlin, per arrivare a grafie in bianco e nero e cristallizzate suggestioni della Successione Viennese. Gonne svasate longuette e tuniche di taglio ovato e asimmetrico, pantaloni in crêpe a trapezio tre quarti, concrezioni di incredibili ricami Lesage a effetto tridimensionale, quasi simulando spille e gioielli settecenteschi. Vortici di gazar sovrapposto a trasparenze in pura geometria, applicazioni di piume a contrasto tonale. Romanticismo di microscopiche ruches piatte rosa perla con nastri in velluto nero e un mikado bianco, degno di un ritratto di Klimt.

Nessun gioiello, solo stilizzati stivali neri. In prima fila sedevano Jessica Chastain e Vanessa Paradis, Johanna Preiss, Hari Nef e Marianne Faithfull, accanto a inossidabili dame parigine d'antan quali Bernadette Chirac e Madame Chaban-Delmas.

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