Abolire l'abuso d'ufficio? Toghe rosse all'attacco, tanto loro la fanno franca

Carriere dei magistrati "immuni" dal reato. Il Csm non valuta né denunce né indagini

Abolire l'abuso d'ufficio? Toghe rosse all'attacco, tanto loro la fanno franca
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Giù le mani dall'abuso d'ufficio, tanto a noi non ci riguarda. Il dibattito politico sull'abolizione (o sulla revisione) di questa odiosa e ambigua fattispecie - l'ex «abuso di potere» che dal 1990 in poi è stata modificata ben quattro volte, l'ultima nel 2020 - è aperto e coinvolge in pieno la magistratura.

L'abolizione tout court dell'abuso d'ufficio che vorrebbe il ministro della Giustizia Carlo Nordio e Forza Italia ha anche uno sponsor nell'opposizione come il responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa («il reato non è riformabile, bisogna abrogarlo») ma Fdi e Lega frenano, perché a loro avviso creerebbe non pochi problemi, soprattutto se non si mette mano anche al reato di traffico di influenze, normando una volta per tutte il ruolo e i poteri delle lobbies. Come è già emerso in commissione Giustizia alla Camera (giovedì parlerà anche il Procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo), l'Unione europea considera l'abuso uno dei «reati-spia» della lotta alla corruzione. Se venisse cancellato si rischierebbe di portare i magistrati a contestare a sindaci e amministratori reati ben più gravi come appunto la corruzione o la turbata libertà degli incanti.

Oggi invece nella terra di mezzo tra l'illecito penale, amministrativo, civile e disciplinare gli spazi di manovra della magistratura sono così enormi che le condanne nel 2021, su 513 processi arrivati nonostante tutto al dibattimento, sono state appena 18. Ecco perché le toghe restano aggrappate a questa ossessione forcaiola - già usata in passato come una clava contro la classe politica - tanto da proporre alla politica non una riforma della norma prevista dall'articolo 323 del codice penale ma dell'intero assetto delle amministrazioni comunali.

In un articolo pubblicato sul sito di Area, la corrente delle toghe più di sinistra, il giudice del tribunale di Bari Giovanni Zaccaro scrive: «In uno Stato di diritto non si può pretendere che gli atti dei pubblici poteri siano sottratti al controllo di legalità. Non sarebbe meglio accorpare le amministrazioni più piccole in modo da sapere con certezza chi abbia la responsabilità, anche penale, di cosa?». Un'invasione di campo bella e buona, quella di Area, che anziché ammettere che una norma ambigua andrebbe cancellata, vagheggia una strampalata riforma dei Comuni con un inconsueto accentramento di poteri e responsabilità. Tutto il contrario del federalismo che invece il Paese chiede con forza.

Peraltro, lo dicono le ultime statistiche, è molto complicato dimostrare che un sindaco ha messo in atto, per usare i più recenti pronunciamento della Cassazione in materia, «una condotta intenzionalmente contraria ai doveri del proprio ufficio, arbitraria o discriminatoria, finalizzata a ottenere un vantaggio personale o a causare un danno e la contestuale presenza di un nesso causale tra la condotta e l'evento», tanto che oltre l'85% dei procedimenti si è concluso con un'archiviazione, a dispetto del danno d'immagine ricaduto sull'amministratore innocente e al prezzo politico pagato a caro prezzo.

Ma c'è una categoria rimasta immune o quasi da questa contestazione. Gli stessi magistrati. Pochissime le toghe condannate, praticamente nessuna quella che ha pagato l'abuso con la carriera, come succede spesso con i politici. Un magistrato accusato di abuso d'ufficio per aver chiesto gli arresti domiciliari per il marito della sua nuova amante era stato condannato a 8 mesi ed è stato assolto in appello. Un altro ex sostituto procuratore condannato in via definitiva a 18 mesi ha preso servizio in un altro distretto nonostante la sentenza, perché secondo i complessi meccanismi del Csm, il procedimento disciplinare a suo carico in corso era stato «congelato» in attesa delle motivazioni della Cassazione. Un altro procuratore, beccato a favorire un amico a cui aveva risparmiato un'indagine, è stato condannato (un anno, pena sospesa) quando era già in pensione.

«Quando al Csm si deve valutare la carriera di un magistrato - dice al Giornale un ex membro togato di Palazzo de' Marescialli - in caso di indagine, procedimento o denuncia per il 323, la terza e la quarta commissione non chiede neanche il carteggio». E poi ci si chiede perché le toghe vogliono lasciare tutto così com'è.

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