
Rimodulazione degli acconti Irpef e stop all'adeguamento dell'età pensionabile. Il governo non si tira indietro rispetto agli impegni assunti di recente. Il decreto correttivo sugli acconti è atteso oggi in Consiglio dei ministri. «Dovrebbe esserci, sì», ha confermato il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti. L'obiettivo è consentire sin da quest'anno l'applicazione del nuovo schema a tre aliquote Irpef in luogo dei vecchi quattro scaglioni, così da alleggerire la pressione fiscale già nella fase di acconto.
Sul fronte previdenziale l'esecutivo punta a sterilizzare l'incremento di tre mesi sull'età pensionabile, previsto in base all'adeguamento automatico all'aspettativa di vita. «Lo considero un sistema già tra i più performanti in Europa», ha detto Giorgetti durante l'audizione sul Dfp davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. «Il decreto ancora non c'è, e finché non lo firmo io, non esiste», ha sottolineato il titolare di via XX Settembre, lasciando intendere che la misura pur auspicata resta ancora in sospeso.
Il cuore del Dfp è, però, il quadro macroeconomico, ingrigito dalla guerra commerciale in corso. Il Pil per il 2025, ha ricordato il ministro, è stato rivisto al ribasso allo 0,6%, con un contributo negativo delle esportazioni nette (-0,3 punti percentuali) e una crescita degli investimenti fiacca (+0,6%). A pesare è soprattutto l'incertezza globale legata alle tensioni commerciali. «Se la situazione si scongela, i valori potrebbero anche essere rivisti al rialzo, ma oggi purtroppo è così», ha ammesso Giorgetti. Andrea Brandolini, vice capo dipartimento di Economia e statistica della Banca d'Italia, ha invitato l'esecutivo a «perseverare nelle riforme strutturali e in una politica di bilancio avveduta».
Una visione che trova sponda anche nei dati Istat e nelle stime di Confindustria. Secondo l'istituto di statistica, l'effetto delle misure protezionistiche statunitensi potrebbe costare due decimi di punto di Pil nel 2025 e tre nel 2026. Per Confindustria, con dazi al 20%, la crescita si fermerebbe allo 0,3% nel 2025 e allo 0,6% l'anno successivo. «Il Piano Transizione 5.0 non sta funzionando: le imprese stanno fermando gli investimenti in attesa di capire cosa succederà», ha spiegato Alessandro Fontana, direttore del Centro studi di viale dell'Astronomia.
Le difficoltà congiunturali si sommano a fattori strutturali: crisi tedesca, crisi dell'automotive, difficoltà nel tessile e caro energia. Un mix che rischia di erodere alla radice la base produttiva europea. «C'è il rischio che le imprese europee spostino la capacità produttiva negli Usa. Se svuotiamo la manifattura, addio crescita e occupazione», ha avvertito Fontana.
L'Ufficio parlamentare di bilancio, guidato da Lilia Cavallari, ha presentato stime che vanno nella stessa direzione: l'impatto dei dazi Usa sul Pil italiano comporterebbe una perdita aggregata di tre decimi di punto e fino a 68mila occupati in meno. I settori più colpiti sarebbero quelli già fragili: metalmeccanico, moda, automotive, farmaceutico. «Anche i servizi professionali potrebbero risentirne», ha sottolineato Cavallari.
Proprio sull'aumento della spesa militare, l'Upb ha poi messo in guardia: l'attivazione della clausola di salvaguardia prevista dal piano europeo «European Defence Readiness 2030» che consente di superare i vincoli del Patto fino a 1,5 punti di Pil potrebbe comportare un
ritardo nell'uscita dalla procedura per deficit eccessivo. Proprio per questo motivo il ministro Giorgetti ha specificato che «per il momento il governo non utilizzerà la deroga al Patto di stabilità per le spese militari».
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