Accuse del padre della vittima al figlio di Grillo

"Distrutta dalle foto oscene dopo la violenza, mia figlia è un'altra. Da allora soffre di attacchi di panico"

Accuse del padre della vittima al figlio di Grillo
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Da quando ha scoperto le sue fotografie a sfondo sessuale scattate mentre dormiva sul divano della villa di proprietà della famiglia Grillo, a Porto Cervo, non è stata più la stessa e ha cominciato a soffrire di attacchi di panico. Ma era diventata molto ansiosa anche prima di parlare in famiglia di quello che era accaduto quella sera. È stato il padre di Roberta, la seconda presunta vittima della violenza sessuale di gruppo - contestata al figlio del fondatore del Movimento Cinque Stelle, Ciro Grillo, e a tre amici genovesi - a raccontare per la prima volta ai giudici del Tribunale di Tempio Pausania come sia cambiata la vita della figlia dopo il 16 luglio del 2019. Quella notte la ragazza milanese, dopo un giro nei locali della Costa Smeralda, aveva concluso la serata trascorsa in compagnia della sua (ormai ex) amica Silvia (il nome è di fantasia, ndr) a casa Grillo, teatro del presunto stupro poi denunciato dalla ragazza italo-norvegese che all'epoca dei fatti aveva 19 anni. Abusi sessuali di cui Roberta non si sarebbe accorta perché si era addormentata in salotto, ma è stata lei la prima a raccogliere le confidenze dell'amica. Sul divano, a sua insaputa, i quattro imputati le hanno scattato delle foto oscene, della cui esistenza la giovane è venuta a sapere soltanto un anno dopo, quando in seguito alla denuncia presentata da Silvia i periti le hanno trovate nei telefonini degli imputati. Da allora silenzi, ansia, isolamento, attacchi di panico. Una situazione psicologica delicata, di cui ieri il genitore ha parlato per oltre un'ora rispondendo alle domande del pubblico ministero Gregorio Capasso e del pool di avvocati difensori. Nelle precedenti udienze, sempre a porte chiuse, aveva testimoniato la vittima dei presunti abusi sessuali e principale accusatrice. Un trauma che provocò a Silvia un forte malessere, confermato ieri in aula dalla sorella. Agli atti dell'inchiesta sono finiti i messaggi di quei giorni, ma anche i file audio che le due amiche si sono scambiate dopo il presunto stupro, in cui Roberta diceva a Silvia che non si doveva sentire in colpa per quello che era accaduto perché era stata manipolata e umiliata: «Non importa se non hai gridato di fermarsi o altro».

Gli avvocati hanno chiesto allo psichiatra e psicologo che ha in cura la

vittima del presunto stupro, esperto di disturbi del comportamento alimentare, di produrre un'autorizzazione scritta della sua paziente a riferire in aula delle sue condizioni di salute. Soltanto dopo potrà testimoniare.

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