Il signor Nutella ci ha lasciato. La malattia ha avuto la meglio sulla fibra di Michele Ferrero, 89 anni, uno dei capitani d'industria più geniali, tenaci e riservati che l'Italia abbia mai avuto. Era l'uomo più ricco del Paese (21mo al mondo secondo l'ultima graduatoria annuale di Forbes con un patrimonio di 26,8 miliardi di dollari) perché ha costruito il suo impero valorizzando il meglio dell'Italia: prodotti di qualità, capacità di innovare, sviluppo aziendale prudente e al tempo stesso coraggioso, piena fiducia ai collaboratori. E poi una famiglia solida e una fede granitica. Ogni anno Ferrero andava in pellegrinaggio a Lourdes portando con sé i top manager. Anni fa disse che il suo successo era merito della Madonna: «Senza di lei possiamo fare ben poco».
Ferrero entrò nell'azienda del padre Pietro da giovane ragioniere e trasformò l'azienda artigiana di famiglia, già famosa per la Cremablock alla gianduia e il Mon Cheri, in una multinazionale che ha sempre tenuto le radici ben piantate ad Alba, nelle Langhe dove cresce la «tonda gentile», la nocciola della Nutella. L'azienda è come lui: sicura delle proprie capacità e riservata. I manager stranieri vengono addestrati in Piemonte, la società di selezione è interna, mai una scappatella nel mondo dorato della finanza, soltanto una lenta e costante crescita della parte industriale e commerciale.
E mai un investimento esterno al settore dolciario né un'acquisizione. Si racconta che sei anni fa, quando doveva decidere se acquisire il gruppo britannico Cadbury, Ferrero convocò i top manager e fece trovare sul tavolo i dolci made in England. Le critiche superarono gli apprezzamenti. Lui chiuse così il vertice: «Se voi non comprereste i loro prodotti, perché io dovrei comprare la loro azienda?». L'unica cordata imprenditoriale in cui entrò fu quella che tentò di strappare la Sme alla Buitoni di Carlo De Benedetti. I suoi soci erano Pietro Barilla e Silvio Berlusconi, offrirono all'Iri di Romano Prodi 600 miliardi di lire contro i 497 del finanziere. Finì male e la cosa non si è più ripetuta.
La storia del gruppo Ferrero è la storia del suo «buon padrone», un imprenditore geniale, che fino agli ultimi mesi ha preso le scelte strategiche e s'impegnava a inventare novità. Ha sempre sfornato prodotti di grande consumo ma con uno stile tutto particolare, industria e marketing, abilità produttiva e talento commerciale. La Nutella, nata 51 anni fa. Ma anche i Rocher, la Fiesta, i Tic Tac, i Pocket Coffee, i Kinder. A Montecarlo, dove Ferrero viveva da anni con la moglie Maria Franca, ha sede anche (oltre alla cassaforte di famiglia) il centro di ricerca che inventa e perfeziona i prodotti. È così che si diventa il marchio più affidabile al mondo, secondo il riconoscimento del Reputation Institute di New York.
Ferrero è cresciuto anche grazie a un talento raro: la capacità di coinvolgere i collaboratori e il coraggio di fidarsi. I dipendenti (oltre 22mila in 130 Paesi) vengono addestrati, valorizzati e coccolati anche quando vanno in pensione, una specie di grande famiglia che si allarga a tante zone disagiate dell'Africa e dell'Asia grazie all'Impresa sociale Ferrero, un cardine dell'attività del gruppo che impianta asili, scuole, infermerie e chiesette. Il signor Nutella non alimentava queste opere sociali con gli utili del gruppo ma le ha inserite nella stessa attività aziendale.
Ferrero ha fatto fare una dura gavetta ai figli Pietro e Giovanni prima di affidare loro le chiavi dell'azienda, e i due sono andati sempre d'accordo finché un malore ha stroncato il primogenito a 48 anni, nel 2011, che si trovava con il padre in Sudafrica per avviare uno stabilimento. La morte del figlio fu il dolore più lancinante nella vita di Ferrero.
Il giorno dei funerali fu schivo come sempre. Poche parole: «Facciamo tre minuti di silenzio e poi torniamo a lavorare come e più di prima». Che fanno il paio con il motto della Fondazione Ferrero: «Lavorare, creare, donare».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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