A metà degli anni Sessanta, Virna Lisi era il sogno proibito dei liceali timidi e irrequieti come me. Si andava a vedere Le bambole e Signore e signori perché c'era lei e che facesse la borghese intellettuale o la cassiera appassionata di fotoromanzi, poco importava, tanto era bella, un viso d'angelo e un corpo di velluto che il cinema si limitava a far intravedere, riempiendoci di sconforto e desiderio.
Vent'anni dopo, quando in Sapore di mare accendeva senza volerlo il desiderio del giovane studente in vacanza, e che pure aveva l'allora acerba e incantevole Isabella Ferrari per «fidanzatina», noi ormai trentenni non potevamo che trovarci ancora e sempre d'accordo. Era rimasto intatto l'incanto della seduzione, una sorta di dono naturale, la grazia sottobraccio all'eleganza.
Dell'Italia della ricostruzione e poi del boom, Virna Lisi incarnò tutto ciò che purtroppo andò poi perduto. L'intelligenza prima che divenisse supponenza, la capacità di dire dei no prima che la logica dei compromessi si trasformasse in regola, la riservatezza prima che l'eccesso la facesse da padrone.
Era l'idea di un Paese che aveva fiducia in se stesso, consapevole della propria unicità culturale, per nulla disposto a svendersi, con quel tanto di pigra lentezza necessario per non mettere il proprio dio nella carriera, convinto cioè che l'anima di un popolo non è il suo prodotto interno lordo, ma un modo di vivere, un concentrato di memorie e di tradizioni, uno stile, per dirla in breve. Il «rifiuto» opposto dalla Lisi a Hollywood viene da qui, il no alla logica dello star system e della serialità, all'internazionalità come passaporto.
E viene da qui anche il suo rarefarsi cinematografico degli anni Settanta, in un'Italia che con lei non c'entrava niente, violenta e inguardabile, settaria e iperpoliticizzata, sempre eccitata e sopra le righe, dove si veniva cooptati per bande ideologiche, dove l'affiliazione partitica era il grimaldello per l'accettazione pubblica. Stavamo andando a fondo, euforicamente convinti di essere in corsa verso il progresso, un Paese capitalista e occidentale con il più forte partito comunista d'Occidente e dove gli intellettuali alla moda spasimavano per la Cina di Mao.
Per non affogare in questa melma di conformismo e opportunismo, la Lisi si fece da parte, semplicemente. Non cercò di intortarsi con il nuovo che avanzava, in seguito non si atteggiò a vittima. Era una questione di carattere e di educazione. E lei aveva in abbondanza l'uno e l'altra.
Intelligente e con una forte personalità, rispetto ad altre attrici più famose della sua generazione Virna Lisi aveva un qualcosa che la rendeva unica. Era sofisticata senza essere algida, una bellezza spigliata, nessuna posa da prima donna, ma un auto-ironico non prendersi sul serio. In più, sapeva recitare.
Fuori dello schermo, di lei non si è mai saputo nulla nulla, e questo è un altro titolo di merito.
Non le si conoscevano flirt e paparazzate, feste e mondanità, le era estraneo l'impegno firmaiolo di attori e registi militanti, fuggiva come la peste il parterre di nani e ballerine che nel tempo è divenuto una costante del panorama della politica-spettacolo. Aveva sposato più di mezzo secolo fa l'architetto Franco Pesci, ed è stato l'uomo della sua vita. Dopo la sua morte, nel giro di un anno è morta anche lei.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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