Prima di andare alla guerra, Sarah Weddington, l'avvocatessa che ottenne l'aborto legale negli Stati Uniti, aveva dovuto combattere per se stessa. Nata nel 1945, figlia di un pastore metodista, al terzo anno degli studi in legge fu costretta ad andare in Messico per interrompere una gravidanza. Un viaggio che la sconvolse e la trasformò per sempre. L'altro ieri è morta all'età di 76 anni a causa di una malattia, in un momento di inversione di rotta sull'aborto, nell'anno in cui il suo Paese si è nuovamente spaccato sul tema, dopo che il Mississippi ha approvato restrizioni per le interruzioni volontarie finite all'esame della Corta Suprema che però, dopo la presidenza Trump, ha sei giudici (su 9) con posizioni antiabortiste.
Dopo la laurea la Weddington cominciò a lavorate con altri giovani avvocati per capire se ci fosse spazio per una revisione della legge che vietava l'aborto in Texas. Pochi anni dopo, a 26 anni, arrivò la svolta: fu incaricata di rappresentare Norma McCorvey. Era il 1970 e la donna in difficoltà economiche con due figli, chiedeva di interrompere una gravidanza. All'epoca in altri stati l'aborto era già legale, ma la donna rivendicò il diritto di poter interrompere la gravidanza dove viveva, cioè nel Texas. Norma McCorvey venne presentata con un nome falso, Jane Roe, per proteggerne l'identità. L'istanza ottenne 7 voti a favore su 9 anche se non riuscì comunque a interrompere la gravidanza perché i tempi della sua battaglia legale superarono di gran lunga la gravidanza e diede alla luce una bambina, che fu data subito in adozioni e la cui identità è stata resa nota solo pochi mesi fa. Il caso di Jane Roe contro il procuratore della contea di Dallas, Henry Wade, era arrivata fino alla Corte suprema, che all'epoca si pronunciò a tutela del diritto all'aborto. Si tratta di una sentenza storica in quanto tale diritto, che non è formalmente garantito da una legge federale, dipende per lo più dalla giurisprudenza. In quel provvedimento epocale la Corte suprema stabilì che la Costituzione garantiva il diritto delle donne ad abortire e che pertanto gli Stati non potevano privarle di tale possibilità. Nel 1992 la stessa Corte ha precisato che tale diritto è da considerarsi valido fino a quando il feto non è vitale, ovvero tra 22 e 24 settimane di gestazione. «È stata la mia docente. Mi ha aperto gli occhi sulla fragilità dei miei diritti e della mia libertà», ha scritto su Twitter Susan Hays, ex allieva di Weddington, ricordando che «quello è stato il primo caso della sua carriera, appena uscita dall'università di diritto». Media e social danno ampio risalto alla notizia della scomparsa dell'avvocatessa che ha fatto da apripista a tutela di un diritto sempre più ipotecato negli Usa, dove una maggioranza di giudici della Corte suprema sta tentando di modificare la cornice legale vigente da quasi 50 anni, garantendo alle donne l'accesso all'aborto. Una minaccia diretta è arrivata dalla sentenza dello scorso 10 dicembre, con la Corte Suprema che ha lasciato in vigore la legge restrittiva del Texas sull'aborto, vietato dopo le prime sei settimane di gravidanza. La stessa Corte ha però riconosciuto ai medici abortisti il diritto di ricorrere contro la legge davanti alla Corte federale.
Lungimirante, già nel 1998 Sarah Weddington aveva intuito che quel diritto era in pericolo, avvertendo che la giurisprudenza del caso Roe-Wade «assomiglia a una casa che si troverebbe in riva ad una spiaggia ma rischia di essere invasa dall'acqua e crollare».
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