Dopo la decisione dell'Italia di non firmare insieme ad altri Stati membri la «dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore delle comunità Lgbtiq+» è iniziata la grancassa mediatica della sinistra contro il governo. Le accuse alla destra sono quelle di sempre: avere posizioni retrograde, favorire la discriminazione, guardare ai paesi dell'est Europa come modello e tutto l'armamentario ideologico che ben conosciamo.
In realtà, come già avvenuto con il ddl Zan, dietro al tema dei diritti Lgbt si nasconde il tentativo di imporre la teoria del gender con un approccio ideologico che è necessario rigettare tanto a livello nazionale quanto europeo.
Eppure - e torna anche in questo caso il paragone con il ddl Zan - la stragrande maggioranza dei commentatori indignati per la decisione italiana di non aderire alla dichiarazione promossa dall'Ue, si è limitata a slogan e dichiarazioni di circostanza senza entrare nel merito del testo.
Vale perciò la pena approfondire i contenuti della «Dichiarazione sul continuo progresso dei diritti umani delle persone LGBTIQ in Europa» siglata il 17 maggio. Dopo le premesse di rito, vengono avanzate alcune richieste agli stati membri e alla Commissione Ue. Rispetto al passato in cui si esplicitavano in modo più netto le posizioni pro gender, oggi è avvenuto un salto di qualità nell'utilizzo di espressioni e terminologie. Se cambia la forma rimane però analoga la sostanza a partire dal concetto di «gender Identity». Oltre ai concetti di «gender identity» e «gender espression», nel documento inoltre si parla di «sex characteristics» ovvero «intersex». C'è poi un tema legato alla libertà di parola e di espressione che era emerso già con il ddl Zan. Nella dichiarazione si legge l'impegno degli Stati che la sottoscrivono a «contrastare la crescita e l'influenza del movimento anti-LGBTIQ che mina il pieno godimento dei diritti umani per tutti» e ancora a «rimanere impegnati a contrastare la diffusione della disinformazione e la strumentalizzazione delle persone LGBTIQ».
Il punto è che, così facendo, si entra in un campo molto soggettivo: affermare di essere contrari all'utero in affitto è per esempio considerata «propaganda anti LGBT? O ancora, dirsi contrari all'adozione di bambini da parte delle coppie gay è considerata disinformazione»?
Sono punti fondamentali da tenere in considerazione quando si sottoscrive un documento di questo genere.
Come spiega al «Giornale» il ministro della famiglia Eugenia Roccella «la posizione del governo è talmente chiara che le polemiche della sinistra sono evidentemente in malafede. Noi abbiamo firmato contro le discriminazioni, non abbiamo firmato per il gender. Contestare questa scelta significa volere il gender, come nella legge Zan non a caso bocciata dal Parlamento, ma allora la sinistra dovrebbe dirlo chiaramente».
A testimonianza della contrarietà italiana a ogni forma di discriminazione, il 7 maggio scorso il governo aveva firmato la «Dichiarazione dell'UE in vista della Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia del 17 maggio».
Nel documento si legge la necessità di «garantire che nessuno venga lasciato indietro» e si «richiede che ci concentriamo sulla lotta alle disuguaglianze e alle molteplici e intersecanti forme di discriminazione.
Uguaglianza, libertà e giustizia devono applicarsi a tutti, indipendentemente dal loro orientamento sessuale e dalla loro identità di genere, reali o percepiti».Parole chiare che dimostrano l'impegno italiano nel rispettare i diritti di tutti senza però cedere alla propaganda gender.
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