Ai poveri il cibo invenduto. Ecco i fattorini Robin Hood

Combattono in bicicletta lo spreco alimentare: hanno già regalato a 200 famiglie 60 tonnellate di "scarti"

Ai poveri il cibo invenduto. Ecco i fattorini Robin Hood

Bicicletta, casco in testa e l'immancabile borsa termica sulle spalle. É così che ogni giorno un gruppo di ragazzi torinesi scende in strada. Attraversa tutta la città per consegnare cibo. Ma loro non sono «riders» qualunque, non servono i clienti a domicilio attraverso una delle tante app che ormai popolano il web. Loro sono «food priders», e lo hanno messo bene in chiaro con tanto di colori sgargianti sui loro ingombranti zaini. Il loro, insomma, non è un semplice lavoro sottopagato. Ma una vera e propria missione: il loro compito è recuperare gli alimenti invenduti nei negozi di vicinato del capoluogo piemontese. Per poi portarli nei centri di raccolta, dove possono essere distribuiti fra chi ne ha più bisogno. Una risposta concreta allo spreco alimentare, che questi giovani offrono con orgoglio e impegno.

Tutto è nato dai progetti di recupero e ridistribuzione del cibo nei mercati di Porta Palazzo, corso Racconigi, corso Brunelleschi e Borgo Vittoria. Adesso questa esperienza positiva viene estesa anche in altre zone della città, come per esempio nei mercati di via Porpora, corso Taranto, Nichelino e altri Comuni dell'hinterland. Tutto questo grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo, ma anche di enti e associazioni hanno unito le forze per creare una rete unica in Italia. Che viene estesa anche alle scuole, come forma di educazione contro gli sprechi. L'idea, infatti, è quella di coinvolgere nel progetto anche gli studenti, attraverso una serie di lezioni frontali che indirizzino i più giovani verso una gestione consapevole dei rifiuti. Ma non finisce qui, perché nel corso dell'anno sono previste anche cene sociali, eventi di piazza, lezioni di cucina antispreco gratuite, rivolte a chi vive in difficoltà economiche, affinché abbia la possibilità di imparare a razionalizzare le risorse. «Il nostro obiettivo è la riduzione della povertà alimentare attraverso il recupero e la distribuzione delle eccedenze e il loro riutilizzo sociale in favore delle fasce deboli della popolazione spiegano i responsabili del progetto -. Vogliamo ridare al cibo-scarto la dignità di risorsa riutilizzabile attraverso una serie di azioni in rete che favoriscano lo sviluppo di un sistema che dal livello micro della scala di quartiere, possa essere replicabile ed estendibile su scala macro nel tessuto cittadino».

Insomma, il programma è di quelli ambiziosi. Con una serie di nobili finalità tutte racchiuse nell'acronimo scelto per battezzarlo: Pride, appunto, cioè «partecipare, recuperare, integrare, distribuire, educare». Da quando l'idea è diventata concreta, nello storico mercato di Porta Palazzo, i volontari di Food Pride hanno permesso di donare nuova vita a circa 60 tonnellate di prodotti ortofrutticoli destinati al macero, donandoli a 200 famiglie indigenti. E adesso vogliono diventare un esempio anche per altre città italiane. Oltre che una risposta concreta a numeri sempre più allarmanti. Ogni anno nel mondo circa il 40 per cento del cibo viene buttato via, diventando rifiuto senza neanche raggiungere la tavola. Lo spreco riguarda l'intera filiera della sua produzione, dalle prime fasi (semina e coltivazione) alle ultime (distribuzione, vendita e consumo).

E l'Italia, in questo panorama, non è ancora un'eccellenza. Nonostante il tema sia entrato da tempo nell'agenda politica nazionale e locale. Secondo il Food sustainability index, ogni italiano getta nella spazzatura non meno di 65 chili di cibo buono ogni anno.

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