Dossier, emergenze, problematiche che si trascinano da tempo, ognuna con una sua specificità e ognuna riconducibile in qualche modo alle altre. È come se le questioni la cui soluzione viene procrastinata si concentrassero in enormi silos comunicanti tra loro. Ecco perché il governo Draghi, dopo la buona performance del decreto Sostegni, deve immediatamente concentrarsi sui prossimi step.
Il primo obiettivo è il passaggio parlamentare del dl appena approvato poiché si stanno manifestando tensioni opposte su alcuni provvedimenti chiave. Il primo tema riguarda il malcontento delle categorie sugli indennizzi. Gli 11 miliardi per i rimborsi di 3 milioni di imprese e partite Iva per una media di 3.700 euro a soggetto sono ritenuti insufficienti da molti addetti ai lavori. Ieri è stata la volta di Federalberghi. «Aiutare con pochi migliaia di euro aziende che hanno perso milioni di fatturato oltre che essere inutile è spreco di denaro pubblico», ha commentato ieri il vicepresidente Roberto Necci. Difficile che si possa cambiare qualcosa in sede di conversione del decreto, molto meglio aspettare il nuovo scostamento da almeno 20 miliardi di euro che dovrebbe essere approvato contestualmente al Def.
Proprio il Documento di economia e finanza toglierà il velo alle nuove previsioni macroeconomiche del governo che evidenzieranno, a fronte di una crescita del Pil al di sopra del 3%, un peggioramento del debito che, secondo le stime dell'esecutivo Conte, dovrebbe arrivare al 158,8% del prodotto interno lordo. Ecco perché pensare a nuove forme di introiti sarebbe positivo. Il saldo e stralcio e la rottamazione hanno spaccato la maggioranza. La cancellazione di debiti fino a 5mila euro tra 2000 e 2011 per redditi fino a 30mila euro è solo una prima mossa. Il centrodestra spinge, ma il centrosinistra resiste.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza con i suoi 191,5 miliardi potrebbe essere il primo passo per parlare di una concreta riforma fiscale oltre a quella della riscossione già prevista dal dl Sostegni. Ma alle porte del Recovery plan bussano ben altre emergenze che dovranno trovare la loro soluzione. È il caso delle crisi industriali, a partire da quella dell'ex Ilva di Taranto. I franco-indiani di ArcelorMittal hanno minacciato e poi immediatamente ritirato il proposito di ridimensionare drasticamente la produzione di acciaio nel siderurgico di Taranto visto che Invitalia non ha ancora dato corso all'aumento di capitale da 400 milioni per rilevare il 50% della società. Ulteriori rinvii potrebbero creare nuove tensioni con il sindacato. Lo stesso discorso vale anche per Alitalia: mercoledì ci sarà un altro vertice tra commissari straordinari, il governo (con il ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti a tessere le fila) e la commissaria Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager. Tra soluzione di mercato con bandi di gara per ogni settore e la partenza del complesso statale Ita rischiano i circa 14mila dipendenti della compagnia.
L'ultimo «silos» riguarda il settore bancario e non solo relativamente ai 188 miliardi di moratorie sui crediti alle imprese con 188 miliardi di euro di finanziamenti sospesi che dal primo luglio rischiano di dover essere onorati in piena pandemia. Il viceministro dell'Economia, Laura Castelli, ha promesso «interventi ancora più mirati». Ma, come detto, ci sono questioni più pressanti: la soluzione delle crisi di Mps e Banca Carige. E, soprattutto, i rivolgimenti azionari nel «salotto buono» Mediobanca-Generali verso il quale potrebbe orientarsi pure Unicredit.
Sebbene sia l'ex presidente Bce, Mario Draghi, e così il ministro Daniele Franco sembrano poco «omogenei» al mondo finanziario italiano. Al consigliere economico di Palazzo Chigi, Francesco Giavazzi, toccherà fare gli straordinari anche su questo fronte.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.