Non è un mistero che il mondo della finanza e quello dell'economia reale vedano sovente l'orizzonte in modo diverso. E la crisi ha esacerbato questa distanza. La conferma è arrivata ieri: a sole dodici ore dalla promozione incassata dall'Italia venerdì notte per opera di Fitch, Confcommercio ha fatto suonare l'allarme perché la crescita nel 2022 sarà inferiore a quanto previsto dalla Nadef: +4%, contro il 4,7% atteso dall'esecutivo Draghi.
Ma riavvolgiamo il filo partendo da Fitch. L'agenzia Usa ha alzato il rating dell'Italia di un gradino (da BBB- a BBB) con outlook stabile. Non accadeva da quattro anni, mentre era dal 2002 - in carica il governo Berlusconi - che Roma non vedeva migliorare il giudizio sulla sostenibilità del debito pubblico (un macigno da 2.700 miliardi), cioè sulla sua capacità di ripagare Bot e Btp.
Soddisfatto il Tesoro che vi ha letto la conferma della «solidità della linea di politica economica perseguita dal governo» e l'esigenza «di proseguire con vigore sulla strada delle riforme e degli investimenti, secondo il piano concordato con l'Europa». Anche Fitch vede ora il Pil in crescita del 6,2% quest'anno. È la conferma che l'Italia sta «andando nella giusta direzione, penso che solo l'economia della Francia stia crescendo» nello stesso modo, ha sottolineato il Commissario Ue all'Economia, Paolo Gentiloni.
Neppure il tempo di gioire ed è arrivata la doccia fredda: nel 2022 la crescita si attesterà al 4,0%, sette decimi di punto meno rispetto alle stime della Nadef, ha avvertito l'ufficio studi di Confcommercio, uno dei «sensori» più sensibili rispetto a quanto sta accadendo sul fronte dei consumi. La minore crescita, spiega l'associazione presieduta da Carlo Sangalli, è dovuta al profilo meno dinamico della spesa delle famiglie. A pesare, oltre ai timori per la variante omicron, è l'inflazione; la stessa che - come ha ricostruito il Giornale - sta già mettendo a dura prova molti settori chiave dell'industria made in Italy.
Ma per scandagliare l'animo dei consumatori, più che alla macro-grandezza del pil, conviene affidarsi ai particolari. Ebbene, sintetizza Confcommercio, quest'anno gli italiani spenderanno 158 euro a testa per i regali di Natale, l'8% in meno rispetto al 2019 e se si guarda al 2009 si apre un baratro del 36 per cento. Tanto che i consumi a dicembre, il mese più importante dell'anno, totalizzeranno 110 miliardi di euro, in leggera crescita rispetto al 2020 imprigionato dal lockdown, ma resteranno ancora inferiori di 10 miliardi rispetto al 2019.
Tutto questo malgrado le famiglie stiano per incassare le tredicesime: un tesoretto da 43,8 miliardi tra dipendenti e pensionati per un totale di 35,4 milioni di beneficiari. In sostanza al Paese pare si stia appannando la lente della fiducia, quella del cosiddetto effetto Draghi. Ecco perché - sottolinea Sangalli - l'unica strada per cambiare la situazione è «accelerare il previsto taglio delle tasse, a cominciare da Irpef e oneri contributivi a carico delle imprese».
Pagelle dei Signori del rating, a parte, c'è un dato da tenere presente: l'Italia, anche se rispettasse il percorso tracciato, il prossimo anno recupererebbe solamente di misura il livello del prodotto interno lordo del 2019, cioè la ricchezza pre-Covid. Molto dipenderà se riuscirà a mitigare la deflagrazione dei costi delle materie prime, che ha già fatto esplodere le bollette, sui prezzi al dettaglio; il rischio è che l'inflazione, insieme ai consumi, faccia grippare la ripresa.
In ogni caso, il Pil resterebbe lontano dai livelli precedenti al crac Lehman Brothers. Simile il quadro per la produzione industriale, che ha superato il pre-virus ma non i livelli 2007 e per la disoccupazione, che viaggia ancora attorno al 9,3%.
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