All'Eurovision scoppia la guerra tra pop star «Madonna boicotti il festival e difenda la Palestina»

Show in forse dopo le proteste dei gruppi anti-Israele. Waters e Gabriel: no alla kermesse

Manuela Gatti

Già normalmente l'Eurovision è un Risiko diplomatico. Ma il fatto che quest'anno si svolga in Israele non fa che aumentare le tensioni, le polemiche, gli appelli a boicottarlo. Alla fine, pare che Madonna ci sarà: l'icona pop era stata annunciata come ospite d'onore della serata finale della 64esima edizione del vecchio Eurofestival, cominciato ieri sera a Tel Aviv e destinato a concludersi sabato. Poi però la sua partecipazione era stata messa in forse, sia per la presunta mancanza di un contratto sia per l'appello a non andarci rivoltole da una cinquantina di celebrità britanniche in nome della «sistematica violazione dei diritti umani dei palestinesi».

«Può anche essere un evento di intrattenimento leggero, ma questo non significa che sia esonerato da considerazioni di questo tipo», si legge nella lettera pubblicata dal quotidiano The Guardian in cui si chiede agli artisti di non esibirsi durante la competizione musicale e alla Bbc di non trasmetterla. In calce, tra le altre, anche le firme dei cantanti Peter Gabriel (ex Genesis) e Roger Waters (ex Pink Floyd) e della stilista Vivienne Westwood. L'emittente britannica ha replicato che il festival verrà regolarmente mandato in onda perché «non si tratta di un evento politico», e anche Madonna non sembra aver raccolto la provocazione: per lei si parla di un cachet da 1,5 milioni di dollari, come riportano i media israeliani. Ma quella arrivata da Londra non è stata l'unica richiesta di disertare l'appuntamento: da Gaza è intervenuta l'Associazione degli artisti palestinesi, che sottolineato la concomitanza dell'Eurovision con l'anniversario della Nakba, l'esodo arabo del 1948 seguito alla fondazione di Israele. L'Autorità nazionale palestinese si è invece rivolta direttamente all'Unione europea per chiederle di fare pressione su Israele, «potenza occupante», affinché ritiri «gli inaccettabili spot di propaganda» del festival girati a Gerusalemme. Nell'ottica del primo ministro Benjamin Netanyahu sarebbe dovuta essere proprio la Città santa, contesa tra ebrei e musulmani, a ospitare l'Eurovision.

Credere quindi che la politica resterà fuori del più grande concorso musicale del mondo - 41 gli Stati in gara - è un'illusione. E non solo per la location, Tel Aviv, dettata dalle regole della competizione che prevedono che il Paese vincitore ospiti l'edizione successiva (l'anno scorso ha vinto l'israeliana Netta Barzilai). Esiste infatti da sempre una vera «geopolitica dell'Eurovision», fatta di alleanze e di scontri più o meno espliciti tra i Paesi partecipanti. Talvolta con conseguenti defezioni. Quest'anno le polemiche sono cominciate presto, quando si è capito che la Francia sarebbe stata rappresentata da Bilal Hassani, 19 anni, di origini marocchine: dai social del giovane sono spuntati vecchi post contro Israele e un video in cui scherzava sugli attacchi terroristici del 2015 a Parigi. La sua presenza è comunque stata confermata: non è stato così per l'Ucraina, che ha ricevuto una sfilza di «no» da tutti i suoi papabili candidati. Maruv, l'artista che avrebbe dovuto rappresentare Kiev, ha rinunciato all'esibizione per il mancato raggiungimento di un accordo con la tv di Stato, che le aveva chiesto di cancellare le tappe già programmate del suo tour in Russia.

A quel punto la cantante si è tirata indietro, spiegando di non voler essere strumentalizzata politicamente nel conflitto con Mosca, e la stessa cosa hanno fatto gli altri artisti selezionati. Lasciando l'Ucraina senza un cantante, in nome del Risiko dell'Eurovision.

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