Si sono sciolte come neve al torrido sole di questi giorni le accuse mosse dai benpensanti della sinistra contro il Corpo degli Alpini. La Procura della Repubblica di Rimini ha infatti l'archiviazione dell'indagine sulle molestie al grande raduno ospitato nella città romagnola dal 5 all'8 maggio scorsi.
Un'inchiesta che era formalmente partita dalla denuncia presentata da una ragazza di 25 anni ma condita da un polverone gigantesco sollevato contro gli Alpini in generale ritratti come dei molestatori seriali. In merito a quell'unica denuncia, la richiesta della procura si è basata, come confermato dal procuratore capo Elisabetta Melotti, sull’impossibilità di identificare i presunti autori delle molestie. Anche perché la folla era composta da 400mila persone e la copertura delle telecamere della zona era solo parziale.
Inoltre, né la giovane molestata né l’amica che era con lei, unica testimone oculare, sono state in grado di riferire particolari utili a rintracciare i responsabili. Nella sua denuncia presentata ai carabinieri tramite il proprio legale, la giovane ha raccontato di essere stata strattonata e bersagliata dagli alpini di frasi sessualmente allusive. Nel gergo femminista moderno è il cosiddetto catcalling.
Quello, per inciso, che hanno segnalato altre decine e decine di ragazze sui vari social network nelle ore successive all'evento, alcune delle quali raccolte in un video da Fanpage che mostra di testimoni che raccontano di avere udito volgarità a sfondo sessuale al loro indirizzo e di avere dovuto fronteggiare molestie da vecchi ubriachi partecipanti al raduno. L'associazione "Non una di meno" ne ha raccolte 160.
Di tutte, comunque, solo una si era tradotta in una vera e propria denuncia. E anche quella, secondo la Procura, è ben lontana dall'essere dimostrata.
Perché, inutile dirlo, anche solo ipotizzare che qualcuno possa scusarsi sarebbe da ingenui.
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