L'indipendenza dei governatori delle banche centrali è ormai un assioma in Occidente. Non è così in Turchia, dove il presidente Recep Tayyip Erdogan ha dato il benservito al banchiere centrale Murat Uysal nominando al suo posto l'ex ministro delle Finanze Naci Agbal. Eppure lo stesso sultano aveva chiamato Uysal a dirigere la banca centrale turca appena a luglio 2019. Prima di lui Erdogan aveva allontanato Murat Cetinkaya, nominato appena tre anni prima. Tanta agitazione è spiegata con la caduta della lira turca sul dollaro. Tre anni fa per un biglietto verde si ottenevano 3,8 lire, oggi 8,5. Erdogan ha dunque preso provvedimenti contro i presunti responsabili del tracollo. All'instabilità monetaria si è poi aggiunta una fibrillazione politica: un giorno dopo l'uscita di scena del banchiere, il ministro delle Finanze Berat Albayrak, meglio noto in Turchia come «il genero», ha dato le dimissioni via Instagram. Nel 2004, un 26enne Albayrak impalmava Esra Erdogan, figlia dell'allora primo ministro. Nel 2015 Erdogan chiama il genero a guidare il ministero dell'Energia; nel 2018 lo promuove alle Finanze. Nel giustificare il suo passo indietro, il genero ha menzionato problemi di salute e la voglia di occuparsi dei quattro nipotini che lui ed Esra hanno già dato al Sultano. Ma già lo scorso aprile si sono sentiti degli scricchiolii ad Ankara quando il titolare degli Interni, Suleyman Soylu, annunciava le proprie dimissioni su Twitter per poi vederle respinte dal capo dello Stato.
«La mancanza per due giorni di un comunicato ufficiale è l'ulteriore segnale di come il mio Paese, un membro del G20, sia gestito con stile da Medioevo». Raggiunto telefonicamente ad Abu Dhabi, dove insegna Macroeconomia e teoria monetaria alla Zayed University, il professore Kerim Peren Arin giudica severamente le notizie in arrivo da Ankara. «Ma la cosa più triste è che dopo le dimissioni di Albarayk, la lira si è apprezzata sul dollaro, il che la dice lunga su come i mercati valutino la competenza del ministro uscente».
Perché Uysal e Albayrak escono di scena?
«Notizie certe non ce ne sono», risponde Arin. L'accademico ricorda il caso di Reza Zarrab, l'uomo d'affari turco-azero-iraniano vicino ad Erdogan, che avrebbe aiutato l'Iran ad aggirare le sanzioni Usa contro Teheran. Finché alla Casa Bianca è rimasto Donald Trump, Zarrab è stato trattato con una certa clemenza. In campagna elettorale, invece, Joe Biden ha usato toni molto duri contro Erdogan. «A voler fare i dietrologi, si può notare che i due usciti di scena hanno un elemento in comune: hanno diretto in passato due banche turche (la Aktif bank il ministro e la Halkbank il governatore) con le quali Zarrab avrebbe fatto affari d'oro con le sue operazioni di riciclaggio di denaro. Questa è solo un'ipotesi, ma liberandosi di Uysal e di Albayrak, il sultano allontana da sé possibili indagini Usa».
E le ragioni economiche?
«La pandemia ha spinto Ankara a immettere moneta in circolazione. Da buon musulmano, Erdogan è contrario a tassi di interesse elevati. Bassi interessi fanno però scappare i capitali stranieri e fanno correre l'inflazione. Secondo i dati ufficiali il carovita è al 10-12%, ma molti economisti stimano che il tasso reale sia al 20-40%. Ecco spiegata la svalutazione: sul lungo periodo il tasso di cambio riflette i differenziali fra i tassi di inflazione delle valute».
Si può fermare l'inflazione con tassi bassi?
«Non si può. L'unica speranza è che il nuovo governatore centrale riesca a opporsi al monetarismo teologico del presidente».
Eppure la Turchia è cresciuta molto in anni recenti.
«Sì, ma mentre la banca centrale
perdeva autonomia, i tecnocrati più competenti, come l'ex premier Ali Babacan, hanno preso le distanze da Erdogan. Oggi l'edilizia non tira più, la disoccupazione ufficiale è al 10%: in Turchia in fondamentali non sono buoni».
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