Violenza, droga, sesso facile «con il degrado come special guest», come recita il tormentone di questa dannata estate. Sono vent'anni che il branco è diventato baby gang, che la criminalità minorile si è americanizzata, è più violenta, spietata, si bulla sui social, fa proseliti. E no, la storiella che l'emergenza nasca solo da famiglie disagiate e al Sud non regge, anche perché in tutte le città ci sono Bronx e zone franche, una terra di mezzo dove non esistono vie di mezzo, dove le forze dell'ordine si muovono silenziosamente o a favore di telecamere. Da Schio a Torino, Bari e Lucca, Ferrara, Taranto, Bologna, Brindisi e Rimini. E solo nell'ultima settimana. Si cresce in fretta, la disgregazione delle famiglie getta napalm sulle coscienze, ambienti borghesi e marginalità crescenti vanno a braccetto, esaltate da un'iconografia alla Gomorra che rimpiazza le sbiadite figurine genitoriali. Il divieto forzato alla socialità col lockdown ha fatto il resto, come l'impossibile integrazione degli italiani di nuovo conio, impermeabili a ogni tentativo educativo.
La politica chiede l'imputabilità a 12, vuole multare le famiglie troppo distratte, invoca carcere per i reati «da adulti», l'omicidio del musicista di Napoli o l'atroce violenza sessuale di Palermo, «ispirata» alle scene pornografiche che il branco ha ammesso di vedere.
Chiudere un ragazzino dietro le sbarre è una sconfitta doppia, bisognerebbe potenziare i servizi educativi ma gli assistenti sociali sono in via di estinzione. Il percorso rieducativo è tutt'altro che immediato per l'atavica lentezza della giustizia penale. Non solo non si reinserisce in società il condannato, di fatto lo si regala alle criminalità più o meno organizzate che ne fanno carne di cannone. Come a Reggio Calabria, dove il fortino dei rom scoperto da Klaus Davi in pieno centro è al soldo della 'ndrangheta. «Se un baby spacciatore viene arrestato, ad aiutare la sua famiglia ci pensa il clan, l'affiliato si sente in debito e non lo recuperi più», dice l'ex cappellano di Nisida Gennaro Pagano, il penitenziario che ospita criminali under 25 che Mare fuori ha abbellito causa rassicurante prima serata.
Al 15 dicembre scorso erano 400 (390 uomini e 10 donne) in Italia i detenuti tra i 14 e i 25 anni nei 17 Istituti penali minorili (Ipm), che sono più al Sud che altrove: più della metà dei reclusi è senza condanna definitiva o maggiorenne (e questo mina il percorso di riabilitazione), in un anno ne passano quasi 1.500 con reati contro il patrimonio (furti, rapine, estorsioni, ricettazione) la persona e l'incolumità pubblica. In 27 hanno tra 14 e 15 anni, 179 tra 16 e 17 anni, 135 tra 18 e 20 anni e 59 tra 21 e 24 anni; 199 sono italiani e 201 stranieri (tanti, se si pensa che gli immigrati sono meno del 10%).
Il sistema drena ingenti risorse ma ha sostanzialmente fallito. Dovrebbero esserci solo ragazzi detenuti per fatti molto gravi, invece ci finisce anche chi non si sa dove mandare (un 12enne è stato persino recluso a San Vittore...). È vero, il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità ha in mano anche le misure alternative al carcere degli adulti e circa 15mila ragazzini in carico ai servizi sociali, ma è anche vero che questo dipartimento del ministero - guidato oggi dall'ex pm milanese Antonio Sangermano - non brilla certo per la condizione in cui vivono i giovani detenuti, nonostante gli sforzi di educatori penitenziari, mediatori culturali, volontari, insegnanti, istruttori e animatori, tra strutture obsolete ed edifici inadatti a ospitare ragazzi soggetti ad attività di tipo rieducativo e riabilitativo. Aggressioni, sommosse e tentativi di evasione sono all'ordine del giorno, al Ferrante Aporti di Torino, a Benevento come a Napoli.
A Catania un detenuto ha scaraventato una tv contro un agente, all'Istituto penale per minorenni di Roma e al Malaspina di Palermo circola droga, al Beccaria di Milano ci sono stati tentativi di fughe e incendi provocati da tossicodipendenti in crisi di astinenza, un altro ha preso a bastonate un agente.
Al fatiscente penitenziario di Quartucciu in Sardegna la situazione è esplosiva, al Pratello di Bologna il sovraffollamento e la grave carenza di personale ha di fatto costretto a interrompere le visite familiari, a Treviso una violenta sommossa ha messo a nudo l'inadeguatezza della struttura Santa Bona, rimasta chiusa un anno. Il male dentro, altro che il mare fuori.
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