Altro che scudo assicurativo per i poliziotti. In caso di ferite in servizio devono pagare loro

Per avere indennizzi gli agenti possono solo costituirsi parte civile

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«Noi come parte civile non possiamo dirci soddisfatti, perché il viceispettore Di Martino andrà in giro per tutta la vita con un rene solo e, non essendo prevista una coperta assicurativa per gli accadimenti in servizio, non prenderà mai un euro»: l'avvocato Massimo Del Confetto lancia, con amarezza, una provocazione. È il legale di parte civile di Christian Di Martino, quasi ucciso dalle coltellate di un immigrato irregolare e pregiudicato l'8 maggio 2024 a Milano. Subito dopo la sentenza di condanna del responsabile dichiara: «Il risarcimento dall'imputato (stabilito dal gup in 150mila euro, ndr) non arriverà, perché Hassine Hamis è nullatenente». Per il poliziotto «non è prevista alcuna tutela assicurativa per gli accadimenti in servizio e può solo sperare semmai nella buona lena delle persone della società civile che magari possono fare un fondo per aiutarlo». Gli agenti come categoria «hanno solo un'assicurazione che gli copre i grandi interventi medici».

Dopo le dichiarazioni a caldo il legale ha cura di precisare la questione. Esiste infatti, anche per gli operatori delle forze dell'ordine feriti in servizio, una distinzione tra risarcimento del danno non patrimoniale e patrimoniale. «È quest'ultimo - continua Del Confetto - a non essere contemplato nelle procedure risarcitorie dell'Amministrazione pubblica». Le forze dell'ordine non hanno una copertura assicurativa garantita per i danni sofferti durante il servizio. A meno che non paghino di tasca propria una polizza. Un nodo particolarmente problematico, se si considerano i rischi che corrono gli agenti: molto alti. «Al di là del fatto eclatante, ce ne sono decine in cui i poliziotti per avere un indennizzo si devono costituire parte civile a proprie spese. Se si considerano gli innumerevoli episodi di resistenza a pubblico ufficiale in cui gli operatori riportano ferite, si comprende la portata del problema».

Aggiunge l'avvocato: «Lo Stato dovrebbe e fornire una assicurazione di questo tipo, come accade in alcune grosse aziende che tutelano i dipendenti anche da tale punto di vista». Se il rischio professionale non è coperto a livello di tutela patrimoniale, è anche vero che è prevista una serie di prebende da parte dell'Amministrazione per rimediare al danno non patrimoniale, che va a intaccare la salute fisica o psicologica. Vale a dire una somma corrisposta per la menomazione in sé, come nel caso di lesioni causate da criminali. La legge riconosce alle cosiddette «vittime del dovere», oltre alle spese di cura fino a una certa soglia piuttosto bassa, una cifra calcolata con tabelle sulla percentuale di invalidità. Per ogni punto percentuale di invalidità riportata spettano 2.800 euro (se poi si supera il 25%, c'è anche un vitalizio). Inoltre sono previsti un fondo di assistenza per il periodo di inabilità e il riconoscimento di un equo indennizzo. Si tratta tuttavia di procedure - per altro con tempi definiti «biblici» - in cui si è soggetti a valutazione e la richiesta può essere rigettata. «Non avere una assicurazione professionale significa non vedersi riconoscere il danno al proprio patrimonio, anche futuro, causato dall'evento in questione».

Succede se la menomazione, ad esempio, impedisce all'operatore di accedere a ruoli e qualifiche con le relative entrate economiche. Un impoverimento che per un poliziotto come Di Martino, giovane, in gamba e con tanta voglia di fare, è molto rilevante.

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