Altro che semplificazioni ma una nuova tassa da pagare. Così Enrico Zanetti, dottore commercialista ed ex viceministro dell'Economia, commenta, l'articolo del dl Semplificazioni che consente a una stazione appaltante di escludere un operatore se ha in essere un contenzioso tributario. In pratica, la scelta per le aziende è tra sostenere le proprie tesi e fallire o pagare per concorrere.
Dottor Zanetti, come si spiega questa norma?
«L'aspetto dirompente che va sottolineato è quello della non definitività. Quello che sconcerta è la possibilità di esclusione in caso di contestazioni non ancora definitive nel senso che se c'è un accertamento dell'Agenzia delle Entrate o dell'Inps e il contribuente o l'impresa ha fatto ricorso e il ricorso è pendente, come si fa a dire che non è in regola? Non sarà in regola quando eventualmente scadranno i termini per ricorrere e non pagherà il debito o perché la sentenza di rigetto non sarà più appellabile. Una norma di questo tipo dice alle imprese che fanno una parte non marginale di fatturato con il pubblico che nel caso in cui si ritroveranno oggetto di contestazioni fiscali o contributive che riterranno infondate e sulle quali vorranno ricorrere dovranno scegliere se fare ricorso per far valere i loro diritti e fallire perché non possono più lavorare oppure pagare cercando il migliore accordo possibile con il Fisco che sa di aver il coltello della parte del manico».
Perché tanto accanimento?
«Sono norme che risentono chiaramente di un filone culturale, politico, antropologico, che è quello delle presunzioni di evasione, di corruzione, di colpevolezza che sono il classico di modo di legiferare di chi vede sempre la patologia, ma a quel punto, pur di scardinarla, non si preoccupa minimamente di distruggere la fisiologia. E la cosa più drammatica è che anno dopo anno il nostro Paese sta sempre più perdendo i nostri spazi di equilibrio tra privato e pubblico, tra contribuente e Fisco perché a volte c'è al governo chi vive di queste presunzioni e le alimenta, altre volte governa chi è contrario e l'unica cosa che riesce a fare e di non metterne altre. Il paradosso è che queste norme non si riescono ad abolire. Basti pensare al Durc. Puntualmente salta fuori da quelle amministrazioni che di queste norme vivono una relazione tecnica che richiede una copertura finanziaria mostruosa. Sono norme non scardinabili perché difese dall'infrastruttura tecnica».
Effetto Cinque Stelle?
«I Cinque stelle, che vivono di queste presunzioni, insegnano che quando legiferavano del reddito di cittadinanza dicevano che non ci si può fermare perché ci sono i furbetti. Quando si tratta di distribuire soldi a pioggia non si vive di presunzioni, mentre quando si tratta di liberare l'attività economica, allora si creano problemi»
Il decreto Semplificazioni blocca anche le riqualificazioni dei centri storici.
«Non faccio critiche a scatola chiusa però da persona che conosce le dinamiche che esistono tra imprese e pubbliche amministrazioni osservo che si sono inserite previsioni sbagliata come quella sui contenziosi di cui si poteva fare tranquillamente a meno perché l'oggetto era semplificare le procedure e migliorare l'accesso agli appalti».
Gli architetti dicono che le città saranno consegnate al passato. Il decreto sembra essere rivolto con la testa all'indietro.
«Sembra quasi che si istituisca una tassa da pagare per avere qualche semplificazione come se non fosse un obiettivo del governo condiviso con le imprese ma una dolorosa concessione. E lo scambio viene effettuato sotto forma di norme che peggiorano lo status delle imprese oneste».
Secondo lei, come
si sarebbe dovuto procedere?«Una norma come quella sui contenziosi semplicemente non doveva esserci perché creerà grossi problemi costringendo le imprese a scendere a patti con il Fisco anche se sono in regola».
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