Anche per lei Natale in carcere. Come per il suo compagno Francesco Giorgi, come l'ex eurodeputato Antonio Panzeri, e come Niccolò Figà Talamanca, segretario della ong No peace without Justice. Anche Eva Kaili, deputata greca del gruppone di sinistra Socialisti & Democratici, per la giustizia belga se uscisse dal carcere munita di braccialetto elettronico potrebbe mettere a rischio le indagini che dall'8 dicembre scuotono l'Europarlamento. Almeno un altro mese di detenzione, ha deciso ieri il tribunale di Bruxelles, respingendo la richiesta di arresti domiciliari avanzata dai legali della Kaili. Anche se dovesse presentare ricorso, la decisione arriverebbe comunque dopo Capodanno.
È una decisione con un significato preciso: le spiegazioni fornite dalla Kaili sui soldi ammucchiati nel suo appartamento a Bruxelles non hanno convinto per niente i giudici. Sostenendo che i soldi di Panzeri erano arrivati lì a sua insaputa, di «sentirsi tradita» da Giorgi e di avere subito ordinato all'anziano padre di sgomberare il malloppo, la Kaili è andata a scontrarsi con un dato di fatto inoppugnabile: il ruolo che ha ripetutamente svolto nell'Europarlamento a favore degli interessi della dittatura del Qatar, il principale cliente delle lobby clandestina che si celava dentro la ong di Panzeri, Fight Impunity. I soldi erano il prezzo di quei favori, dice la Procura. E i giudici della Prima istanza del tribunale di Bruxelles, davanti a cui la Kaili appare ieri pomeriggio, al piano terreno del palazzo di giustizia della capitale concordano.
«Non è mai stata corrotta» e «spero che la liberino presto», aveva detto Mihalis Dimitrakopoulos, avvocato di Eva Kaili, arrivando in aula. Le speranze erano affidate al tentativo della donna di separare il suo destino da quello di Panzeri e di Giorgi, che erano stati interrogati a parte qualche giorno fa. Soprattutto Giorgi aveva cercato di scagionarla nei limiti del possibile. Tutto inutile. In qualche modo sul destino della Kaili - oltre alle intercettazioni compiute nei lunghi mesi dell'inchiesta - hanno pesato scoperte più recenti: come il terreno nella bella isola di Paros, nelle Cicladi, comprato dalla deputata e sequestrato ieri su ordine della Corte suprema greca, nonostante che il difensore Dimitrakopoulos, sostenesse che il terreno era frutto dei risparmi legittimi della deputata. Ma ormai la posizione della donna si è fatta insostenibile, sulla Kaili piove di tutto, compresa l'intervista al Tg4 della sua ex segretaria in Grecia, Sofia Mandilara, che accusa: «Eva Kaili è andata negli Stati Uniti per due volte con i soldi del Centro di Uguaglianza di Genere di Atene, finanziato dall'Eurocamera, solo per scopi personali». Nello stesso centro per la parità di genere la Kaili aveva fatto assumere la propria sorella.
Ora, con i quattro indagati principali a passare le feste in cella, l'inchiesta della Procura federale per corruzione, riciclaggio e associazione a delinquere entra in una fase di approfondimento. Le decisioni dei giudici, che hanno finora sempre accolto le tesi d'accusa, hanno confortato gli inquirenti sulla solidità degli elementi raccolti a carico degli indagati. Ora la fase due prevede l'analisi minuziosa dell'imponente materiale informatico sequestrato nel corso delle numerose perquisizioni compiute nei giorni scorsi a carico degli indagati principali e della rete di assistenti parlamentari che costituivano il vero canale di collegamento tra le lobby pro-Qatar e pro-Marocco e i deputati del gruppo Socialisti&Democratici.
E mentre la giustizia belga passa al setaccio i computer, da questa parte delle Alpi si muove il fronte di indagine della Procura di Milano.
Finora, formalmente, il pool «corruzione internazionale» guidato dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale si sta muovendo solo sulla base della richiesta di collaborazione partita dal Belgio. Ma di fatto è partita una ricerca approfondita anche di elementi che potrebbero giustificare l'incriminazione di Panzeri & C. anche in Italia.
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