Davide Fontana, condannato a 30 anni di carcere per aver ucciso fatto a pezzi la 26enne Carol Maltesi, è stato aggredito nei giorni scorsi nel carcere di Busto Arsizio da un compagno di cella, che lo ha ferito con una penna colpendolo di notte alla testa mentre dormiva.
Immediatamente sono intervenute le guardie carcerarie, che hanno portato il 44enne in infermeria. Poi è stato trasferito nel carcere di una struttura dotata di un'area «protetta» adatta a accogliere chi ha commesso gravi delitti, tra cui quelli sessuali verso donne e minori. Ma il passaggio, come ha spiegato il suo legale Stefano Paloschi, non è collegato a questo episodio. «Fontana è da sempre preso di mira per il tipo di reato per il quale è stato condannato - aggiunge il difensore -. Sono le logiche del carcere mentre è bene sottolineare che con l'aggressione non c'entrano nulla le motivazioni della sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d'Assise di Busto Arsizio e oggetto di polemiche su alcuni media». Quanto al trasferimento a Pavia, precisa: «Ne avevo già parlato tempo fa col pm e sapevamo che, terminato il dibattimento, sarebbe avvenuto». «A Busto Fontana ha ricevuto diverse minacce - continua il legale - e quando si muoveva lui, anche solo per andare in bagno, si evitava che venisse a contatto con gli altri reclusi per evitare problemi». Le critiche alla sentenza erano arrivate per la parte delle motivazioni in cui Maltesi veniva definita «disinibita». Il presidente della Corte di Busto Arsizio, Giuseppe Fazio, aveva infatti scritto nella sentenza che Carol Maltesi si era in pratica servita di lui e quando Fontana se ne era resto conto, realizzando che la donna «si stava allontanando da lui», l'aveva uccisa nella notte tra il 10 e l'11 gennaio 2022. Poi aveva confessato e agli inquirenti aveva raccontato di aver colpito con un martello in testa la vicina e di averle tagliato la gola mentre giravano un filmino hard nella casa di lei, a Rescaldina, in provincia di Milano. Aveva quindi fatto a pezzi il cadavere, tentando di dargli fuoco in un braciere. Non riuscendoci, aveva congelato i resti della ragazza in un frigo e poi li aveva gettati in un dirupo tra i monti bresciani, a Borno, dove erano poi stati ritrovati in quattro sacchi di plastica due mesi dopo.
La Procura aveva chiesto l'ergastolo con due anni di isolamento diurno per i reati di omicidio volontario aggravato, distruzione e occultamento
di cadavere. Ma i giudici non hanno riconosciuto tre delle aggravanti contestate (premeditazione, crudeltà e motivi abietti e futili) mentre hanno riconosciuto le attenuanti generiche equivalenti alle residue aggravanti.
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