Quando c'è di mezzo lo spread dell'Italia, la Bce resta invariabilmente legata al fil rouge primordiale creato da Madame Lagarde col memorabile «non siamo qui per ridurre» i differenziali di rendimento. In realtà, l'Eurotower sembra assecondare la pulsione opposta, quella cioè di chi vuole tendere la corda fino a farla spezzare. Mettendo così il governo Meloni in una posizione tale di debolezza da costringerlo a ratificare rapidamente - e senza condizioni - le riforme di Mes e Patto di Stabilità.
Sotto questo profilo, l'ultimo Bollettino mensile dell'istituto di Francoforte è incendiario quanto basta nella parte in cui sottolinea come la forbice fra i nostri Btp e il Bund tedesco si sia allargata «verosimilmente per effetto di fattori idiosincratici (di natura interna, ndr) collegati, tra le altre cose, alle notizie riguardanti le misure fiscali previste dalla legge di bilancio nazionale».
Il periodo di riferimento è quello in cui, in concomitanza con la presentazione della Nadef, lo spread sfonda il muro dei 200 punti base e i tassi di rendimento del decennale salgono oltre il 5%. Quasi nessuno si accorge che un identico «fee» viene pagato dal Tesoro Usa sui T-Bond, a conferma di tensioni non circoscrivibili solo all'Italia; molti puntano invece il dito sull'allargamento del disavanzo (5,3% quest'anno, il 4,3% il prossimo) e su un debito pubblico destinato a rimanere elevato a lungo. Tra questi, l'Economist di casa Agnelli sentenzia che la manovra è da irresponsabili, mentre il Fondo monetario internazionale si mostra preoccupato per «le proposte di tagli alle tasse o simili», che «non sembrano andare necessariamente nella giusta direzione». È la stessa preoccupazione della Bce. Che, per esempio, ha sempre visto come fumo negli occhi la tassa sugli extra-profitti delle banche, bollata dalla Lagarde come un provvedimento che mette a rischio la capacità degli istituti di attrarre investitori. Rispetto alla stesura originaria, la misura è stata poi ampiamente rimaneggiata, dando alle banche la possibilità di mettere a riserva la quota parte di profitti generati dal rialzo dei tassi, ma nel Bollettino non c'è alcuna traccia della correzione di rotta apprezzata proprio dai mercati.
Rimangono quindi marchiate a fuoco, le parole incendiarie che - guarda caso - arrivano nel momento in cui l'Italia è attesa da due esami cruciali sulla propria affidabilità creditizia.
Il primo è quello di stasera, quando Fitch deciderà se Roma ha le carte in regola per mantenere la tripla B con outlook stabile; l'altro è in calendario venerdì 17, data da gesti apotropaici in cui Moody's emetterà un verdetto non certo scontato che, se dovesse essere negativo, costerebbe al nostro Paese la perdita dello status di «investment
grade» con gravissime ripercussioni sul Tesoro e sulla tenuta stessa dei conti pubblici.Nell'attesa, teniamo come sottofondo «El condor pasa»: è un inno di libertà e un talismano contro i gufi. I veri avvoltoi sono loro.
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