Prima ancora del referendum la dimezza la paura del contagio. Senza attendere la riforma sul taglio dei parlamentari promossa dal M5s l'inedito si compie: la Camera si riduce. Su proposta del presidente, Roberto Fico, mercoledì, unico giorno della settimana in cui è stato fissato il voto d'aula, a sedersi a Montecitorio non saranno 630 deputati, ma poco più della metà. Non è bastata infatti la misura adottata, votare un solo giorno, per evitare o almeno contenere gli spostamenti e le concentrazioni degli onorevoli. L'angoscia e la soluzione estrema, ma impraticabile, di chiudere la Camera, ha spinto Fico a chiedere ai capigruppo di maggioranza e opposizione di autoridursi. Presentarsi sì, ma a ranghi minimi. «È l'unico modo per garantire la distanza di un metro, insomma rispettare le regole» fanno sapere lo staff della presidenza. E va detto che nulla del genere è stato mai realizzato e che dunque entra nella storia parlamentare. Per il voto di domani sullo scostamento di bilancio, voto necessario per fare fronte all'emergenza coronavirus, si presenteranno in 350 e come spiega il costituzionalista e deputato del Pd, Stefano Ceccanti, «non si sceglieranno a caso, ma si farà in modo che tutte le forze siano proporzionalmente rappresentate secondo il loro originario peso». A essere attesi i deputati del Centro e del Sud, zone al momento meno colpite dall'emergenza. Il problema si è posto perché il voto di domani è un voto a maggioranza assoluta. Da qui la decisione di intervenire con quello che di fatto è un patto fra gentiluomini, concordato almeno in questo ramo.
Il Senato, che in un primo momento sembrava dovesse uniformarsi, ha scelto un diverso indirizzo. «Voteremo per fascia. Secondo alfabeto. Entreremo un poco alla volta e votando dal nostro posto. Nessuna riduzione. Qui no» garantisce la capogruppo di Sel, Loredana De Petris. Sei senatori per gruppo saranno invece presenti al dibattito. Al contrario di Montecitorio, a Palazzo Madama non sono mancate le polemiche e le accuse di incostituzionalità. A sollevarle i senatori del gruppo Misto, fuoriusciti ed espulsi dal M5s e oggi componenti del gruppo Eco. Si tratta di Gregorio De Falco, Luigi Di Marzio, Elena Fattori e Paola Nugnes firmatari di una lettera indirizzata a deputati e senatori in cui si dice che la decisione «sia pure dettata da buona volontà è anticostituzionale e non accettabile. Crea, tra l'altro, un precedente pericoloso». Ma a impensierire non è tanto il precedente, ma le votazioni successive. Cosa fare nelle prossime settimane? Contingentati i voti in aula, rimane da svolgere il lavoro nelle commissioni. Si è pensato pure a questo. Da domani, le sedute si sposteranno in sale di dimensioni più vaste come la sala dei gruppi parlamentari e la sala del Mappamondo. Potrebbe non essere sufficiente. Il Pd avrebbe proposto di votare in maniera telematica e i funzionari della Camera hanno bocciato la possibilità per ragioni tecniche. È vero tuttavia che si stanno studiando i procedimenti di altri Paesi. In Spagna qualcosa di analogo, selezionare i deputati, è stato praticato. «Ma quello spagnolo è un sistema incomparabile con il nostro» dice Annibale Ferrari, vicesegretario generale della Camera. Un'altra possibilità che si fa largo è quella di tornare al passato, agli anni Ottanta, prima di una sentenza della Consulta.
Legiferare attraverso decreti, del resto solo questo si sta facendo, e anziché convertire in legge o lasciare decadere, reiterarli. Ovvero sanare gli effetti alla fine del pericolo. Anche il parlamento è entrato in stato d'eccezione.
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