Giuseppe Conte tira un colpo al cerchio e uno alla botte, ma è ostaggio dei senatori che giovedì non vogliono votare la fiducia sul decreto Aiuti. Una mossa che, secondo il regolamento di Palazzo Madama, equivarrebbe a un voto contrario dagli esiti imprevedibili sulla tenuta della maggioranza. Conte scherza con i giornalisti: «Andate in vacanza, al massimo vi richiamo». Si tiene sospeso in un limbo e, nelle conversazioni private, sposta di altri quindici giorni il momento della resa dei conti con Draghi. «Abbiamo fatto delle proposte al governo, vogliamo risposte entro la fine di luglio, altrimenti andiamo via», è il refrain delle ultime ore. Che, secondo i beninformati, è più che altro un modo per tentare di tenere a bada gli ultrà del Senato. La strategia dell'avvocato è la stessa adottata in altre circostanze. Aspettare, prendere tempo, temporeggiare, in attesa che passi la buriana e con la speranza di ottenere da Palazzo Chigi qualche apertura che sia utile per placare i bollori della truppa.
Intanto domani, a Montecitorio, sul testo del Dl Aiuti andrà in scena il primo Aventino. Senza una proroga del Superbonus, i deputati usciranno dall'Aula. Anche se tanti eletti vorrebbero votare il provvedimento dell'esecutivo, «perché contiene anche 23 miliardi di aiuti per famiglie e imprese». Quello di domani sarà un distinguo sostanzialmente simbolico. Il via libera alla fiducia è arrivato giovedì, con 28 assenti tra i banchi pentastellati. Ma il regolamento della Camera permette l'Aventino indolore. Mentre è diverso lo scenario a Palazzo Madama. Al Senato non c'è la possibilità di due voti separati: uno sulla fiducia e uno per quanto riguarda il provvedimento. Perciò quello di giovedì potrebbe essere il primo vero innesco della dinamite di una crisi di governo. Anche perché sembra improbabile un sì alla fiducia, così come pare difficile un vero e proprio no che aprirebbe a un'uscita dalla maggioranza con tutti i crismi del caso.
L'ipotesi, dunque, è un'uscita dall'Aula. Nel quartier generale dei 5 Stelle sostengono che il gesto non spianerebbe la strada all'instabilità. La verità è che Conte avrebbe optato per un sì, seppure con tanti mal di pancia. Però le fonti interne al M5s descrivono l'avvocato come in balia dei senatori e del duo Riccardo Ricciardi-Paola Taverna, i due vicepresidenti in competizione per il ruolo di sfasciacarrozze del governo. La linea sarà dettata da un'assemblea in programma martedì e si andrà probabilmente verso l'Aventino, nonostante i tentativi del Pd di portare Conte sulla retta via della responsabilità. Il ministro contiano Stefano Patuanelli, dalla scuola politica dei Dem, rassicura: «L'alleanza non è assolutamente a rischio, faremo battaglie insieme al Pd e lo faremo per diversi anni».
Diversa è la percezione tra gli elettori, che dimostrano di non credere alle minacce del M5s. Secondo un sondaggio Tecné per l'agenzia Dire, il 44% degli intervistati è convinto che il Movimento non uscirà dal governo Draghi, a fronte di un comunque considerevole 34% che pensa che i grillini lasceranno l'esecutivo. Intanto Rocco Casalino, spin doctor dei gruppi parlamentari M5s, smentisce un retroscena del Corriere della Sera che dipinge l'ex portavoce come «in panchina».
Casalino sarebbe defilato dopo che aveva già mostrato in due cene una bozza del comunicato che annunciava l'uscita dei grillini dal governo, allo stesso tempo il comunicatore si sarebbe già assicurato il posto in lista per le prossime politiche. Casalino smentisce seccamente la ricostruzione, e nel M5s c'è chi pensa che ci sia sempre la sua mano dietro le fughe in avanti comunicative degli ultimi giorni.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.