Apologia del vintage, una moda che non si impone

N on so ancora se, mentre voi leggerete queste righe, io starò allegramente passeggiando tra Costanza (in Germania) e Kreuzlingen (in Svizzera) in un lungo percorso lungo oltre 9 chilometri per visitare l'unico mercato delle pulci al mondo (ma a me piace più chiamarlo mercato del vintage) che attraversa due Stati. Già: non ho ancora deciso se quest'anno andrò a vedermi il «Flohmarket», considerato uno dei mercati più belli, grandi e attraenti della regione dei quattro Paesi del Lago di Costanza, ma consiglio vivamente a chiunque di vivere almeno una volta questa esperienza. Perché il vintage è divertente, strano, vario: soprattutto vario. E tutti possono rispecchiarvisi, ognuno a modo suo e secondo i propri gusti, trovando un oggetto, un capo d'abbigliamento, un cappellino, un gioiello o un mobile che, benché appartengano e siano stati realizzati in un tempo passato, hanno il potere di risuonare per qualche motivo dentro di noi oggi, come quei ricordi vaghi ed evanescenti in grado però di farci per un momento battere il cuore.

Infatti, io amo il vintage. E sapete perché? Perché è uno stato d'animo, un sentimento, una madeleine (Proust ci insegna) in grado di trasportarci a un momento felice della nostra vita, o magari a farcelo solo immaginare, ambientato in un'epoca passata. Il vintage è un momento di romanticismo che irrompe nella nostra vita: è una stravagante e magnifica eccezione in un sistema che vede la moda, secondo una logica storicistica, evolversi e cambiare sempre, secondo uno schema di avanzamento progressivo. Invece io credo che la moda, come il costume in generale e tutte le arti, sia un fiume carsico: un capo, uno stile, una tendenza, o anche il lavoro di un artista misconosciuto o sottovalutato, possono venire sempre riscoperti, e fatti propri dalle generazioni future: che vi riconosceranno, anche a distanza di anni, alcuni caratteri di anticipazione o di novità.

Io amo il vintage per la sua gentilezza: il vintage, al contrario dei prodotti nuovi, non si impone, ma si propone: sta a te sceglierlo o farne a meno. Poi, certo, credo che nessuno, o quasi nessuno, possa vestirsi solo vintage: a tutti piace vestirsi anche seguendo l'armonia del proprio tempo, dunque acquistando capi nuovi in «normalissimi» negozi o grandi magazzini. Il vintage è, appunto, un'eccezione: l'eccezione poetica, il tocco romantico dell'esistenza normale.

I pochissimi che, invece, hanno il coraggio di compiere un'azione così radicale come vestirsi sempre e solo vintage, o circondarsi unicamente di cose passate, non possono che essere dei grandi eccentrici, degli idealisti.

O degli artisti: come la coppia di straordinari fotografi americani David McDermott e Peter McGough, autori di scatti dal sapore vintage che utilizzano la tecnica della cianotipia, e che hanno fatto della loro stessa esistenza un'opera d'arte, abbigliandosi e comportandosi come gentiluomini dell'Ottocento, e considerano se stessi come dei veri e propri «esperimenti temporali».

Noi, più prosaicamente, ci accontentiamo di bazzicare qualche negozio o qualche «Flohmarket», per dare un tocco di follia romantica, dal sapore rigorosamente vintage, alla nostra per altri versi normalissima vita.

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