Da superpotente a supertrombato, la sorte già toccata a Conte e Casalino ora tocca a Domenico Arcuri. Trattato con i guanti da giornali, tv e partiti dell'ex maggioranza, liquidato in tre secondi come un incapace dagli stessi che assistevano muti alle sue conferenze stampa autocelebrative e ne assecondavano le ambizioni di onnipotenza, ignorando invece le molte ombre sulla gestione degli appalti. Per un anno intero, dalla nomina a supercommissario per l'emergenza Covid, carica a cui si è aggiunta anche quella di commissario per la riapertura delle scuole, gli errori della gestione Arcuri (dalle mascherine ai banchi a rotelle, al flop di Immuni al disastro del piano vaccinale) sono stati coperti e giustificati dalla maggioranza Pd-M5s, per evitare di mettere in discussione con il commissario anche il governo Conte, già traballante di suo. Il tutto con l'aiuto di una stampa amica, troppo impegnata a cercare le inefficienze del «modello lombardo» per vedere le travi nell'occhio del commissario straordinario, su cui adesso invece si accanisce a sottolineare l'inadeguatezza visto che non ha più potere.
Ma ora, chiuso il teatrino con la rimozione da parte di Draghi, gli ex amici si sono immediatamente girati dall'altra parte (quella del suo successore, il generale Figliuolo), scoprendo d'improvviso che forse aveva accumulato troppi incarichi, che ha ricoperto il suo ruolo con poca umiltà (per non dire arroganza), che si è volentieri promosso come primadonna anche nei salotti tv, da quello di Fabio Fazio a Domenica In fino alla D'Urso. Giusto adesso che Arcuri non conta più.
Oltre agli articoli molto critici sulla sua gestione (ma con qualche mese di ritardo), è da notare anche la rapidità con cui la politica lo ha già dimenticato. Il Pd, partito a cui è storicamente più legato (Arcuri manager pubblico è considerato una invenzione di Massimo D'Alema), lo congeda con una pacca sulle spalle di circostanza ma niente di più, non conviene essere associati a lui. Arcuri «ha fatto il suo dovere, anche se ci sono alcune questioni da chiarire il mio giudizio su di lui è complessivamente positivo» dice il capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci, che subito però aggiunge «oggi serve un cambio di strategia, quindi ci sta che venga sostituito». Adieu, Domenico. È il tono dei commenti dei Dem, sbrigativi ringraziamenti ma non ci mancherai, il succo. Gli unici due che non hanno cambiato maglia sono Stefano Fassina («Serviva un capro espiatorio e inevitabilmente lui ha pagato») e Piero Fassino («Un Paese e una politica civile hanno il dovere di ringraziare Arcuri. Chi si ritiene leader dovrebbe rispettare il lavoro altrui» scrive l'ex segretario dei Ds, forse una frecciata a Zingaretti?). Ancora più imboscati i grillini, che pure avevano appoggiato Arcuri, emanazione di Conte, in tutti i suoi flop. È sparito nel nulla Di Maio, che invece in tv aveva confessato alla D'Urso «tutte le volte che ho lavorato con il commissari Arcuri ho sempre lavorato bene». Ormai l'unico obiettivo politico del M5s è restare al potere, con Draghi, per cui sia benedetta ogni sua scelta, Arcuri si arrangi. Stavolta per un recordman di sopravvivenza come lui, rimasto in sella con otto governi diversi, non si mette bene.
L'ultima indiscrezione è che potrebbero persino farlo fuori da Invitalia. Per sostituirlo come amministratore delegato l'agenzia Dire fa il nome di Bernardo Mattarella, nipote del presidente. Un nome che, a differenza di Arcuri, metterebbe d'accordo tutti.
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