Mentre Matteo Renzi arringava l'aula della Camera sulle riforme costituzionali, al ministero dell'Economia si riunivano i «poteri forti». Quelli, cioè, che al netto dello storytelling boschiano, hanno in mano le sorti del sistema finanziario del Paese da salvare per la seconda volta in meno di un anno. Sono stati chiamati a raccolta soprattutto i banchieri come Pierfrancesco Saviotti e Giuseppe Castagna, rispettivamente amministratori delegati delle promesse spose Banco Popolare e Bpm, Andrea Munari (Bnl), Alessandro Vandelli (Bper) e Adolfo Bizzocchi del Credem ma soprattutto l'ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina. La riunione, iniziata alle 18.30 e terminata attorno alle 20, è stata interlocutoria: non è stato firmato un accordo (perché prima il progetto deve passare sul tavolo dei Cda dei soggetti che aderiranno) ma si è delineato lo schema del fondo per sostenere gli aumenti di capitale, soprattutto di quelli delle popolari venete che stanno per essere varati, e per l'acquisto dei prestiti in sofferenza.
Un intervento «di sistema» cui ha fatto da regista non Banca d'Italia né tanto meno la Cassa depositi e prestiti, come vorrebbe far credere la narrazione renziana («Questa è la settimana giusta per il piano promosso dal governo sulle banche», ha esultato il premier). In realtà, a tirare le fila del progetto è un «arzillo vecchietto» della finanza italiana, ovvero il patron delle Fondazioni, Giuseppe Guzzetti. Mentre l'amico Giovanni Bazoli, oggi presidente emerito di Intesa, è impegnato a mantenere la promessa fatta tanti anni fa al Gianni Agnelli di salvare Rcs (mettendola oggi nelle mani di Umberto Cairo), l'avvocato Guzzetti ha avviato il cantiere per sistemare il pasticcio bancario con un occhio appunto agli aumenti assai poco «popolari» - che rischiano di costare caro ai garanti delle ricapitalizzazioni (soprattutto a Unicredit, cui spetta di coprire l'eventuale inoptato della Popolare di Vicenza) - ma anche al destino incerto di Mps, ancora alla ricerca di un partner danaroso.
Il fondo si chiama Atlante, avrà una dotazione di circa 5 miliardi utilizzando ed è stato lanciato dalla Quaestio sgr. Si tratta di una società di gestione del risparmio che in cda conta anche Alessandro Penati, economista nonché editorialista di Repubblica (il quale sarebbe stato presente ieri all'incontro al Mef) ed è controllata dalla lussemburghese Quaestio Investments Sa, a sua volta detenuta al 100% dalla Quaestio Holding, anch'essa basata nel Granducato. Fra gli azionisti in cima alla piramide spuntano la Fondazione Cariplo, l'Ordine dei Salesiani e la Locke, partecipata da Penati. Guzzetti ha affidato a Quaestio la gestione della quota di Intesa posseduta dalla Cariplo e l'sgr custodisce anche la liquidità della Fondazione Mps. Adesso chi metterà i soldi nel nuovo fondo? Le banche (circa 3 miliardi), compagnie assicurative, big del risparmio gestito, forse la Cdp, fondi di investimento e anche le fondazioni (con, si dice, un obolo di 500 milioni) che potrebbero così diversificare gli investimenti. Atlante «ha l'obiettivo di eliminare l'elevato sconto al quale il mercato valuta le istituzioni finanziarie italiane», si legge in una nota, e consentirà di generare benefici non solo per gli investitori nel fondo, «ma, indirettamente, anche per tutti i risparmiatori, contribuendo a ridurre il premio per il rischio che attualmente penalizza gli strumenti finanziari degli emittenti italiani».
La palla ora passa alla Commissione Ue. Intanto, c'è chi ha già notato la scelta del nome: Zeus costrinse Atlante a tenere sulle spalle l'intera volta celeste.
La punizione gli fu inflitta per essersi alleato col padre di Zeus, Crono, che guidò la rivolta contro gli dèi dell'Olimpo. Chissà chi è Zeus e chi è Crono, in questa vicenda. Di certo, la volta celeste è il sistema bancario italiano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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