Anno di grazia del Signore 2019. Signore delle fake, ovviamente.
Annegati dal Giudizio Universale delle news false, potevano mai salvarsi i quadri?
Una domanda cui Harry Bellet, autorevole firma de Le Monde, studioso e critico d'arte francese (una specie di Sgarbi incorniciato in salsa parisienne) risponde nel suo Falsari illustri (SKIRA), libro brillante e originale: pregio - quest'ultimo - non da poco, considerato che l'argomento trattato è la falsificazione.
Bellet, già a pagina uno, parte a pallettoni: «Quando Thomas Hoving, ex direttore del Metropolitan Museum di New York, dichiarò nel 1997 che il 40% delle opere nel suo museo erano false, pensammo a un'esagerazione tipicamente americana. Di fatto, ci si domanda invece se la cifra non sia inferiore alla verità». Bellet non rielabora, ma cita testualmente Hoving, il quale nel suo scritto dal titolo False Impressions: The Hunt for Big-Time Art Fakes (Touchstone Edition, New York 1997) riporta la propria, clamorosa, testimonianza: «Nei miei quindici anni al Metropolitan Museum of Art, avrò esaminato cinquantamila opere d'arte di tutti i generi: un buon 40% erano o falsi o così malamente restaurati o mal attribuiti da dover essere considerati alla stregua di falsi». D'accordo così allora? 40% e fenomeno «taroccamento» limitato dunque al, se pur prestigioso, Metropolitan Museum of Art di New York? Macché. Bellet, in rapida successione (e siamo appena alle note a piè di pagina del primo capitolo del libro) piazza un secondo scoop, aumentando ulteriormente la stima dei falsi museali: «Per altri, e più recentemente, saremmo piuttosto vicini al 50% secondo le dichiarazioni di un esperto svizzero, Yann Walther». Anche in questo caso il critico di Le Monde cita la fonte, individuata nell'articolo di Walther, Over 50 Percent of Art Is Fake, pubblicato il 13 ottobre 2014 su Artnet News.
L'elenco degli esempi è lunghissimo e alcuni sono al limite della barzelletta. Benché al Mimara Museum di Zagabria nessuno abbia voglia di ridere. Motivo? «La totalità delle sue 3.754 opere sarebbe falsa», almeno a dar credito a quanto spifferato dal solito Hoving.
La lettura di Falsari illustri prosegue spedita, senza mai annoiare; e ciò grazie anche a battute fulminanti (ma per nulla false), del tipo: «Camille Corot avrebbe realizzato 3.000 dipinti dei quali 5.000 sono negli Stati Uniti...». Una leggerissima incoerenza numerica di cui Bellet ci svela il segreto: «Si pensa che Paul-Désiré Trouillebert (1829-1900), che dipingeva alla maniera di Corot, ne sia - per una piccola parte - l'autore».
C'è un filo che unisce la Fake Art del passato con la Tarocco Art del presente, ed è l'apprezzamento sociale conquistato dal genio del falsario: «La cosa più straordinaria - annota antropologicamente Bellet - è che questi casi tornano a galla regolarmente, suscitando sempre la simpatia del pubblico e la relativa clemenza della giustizia nei confronti dei falsari».
Fuori un nome, monsieur Bellet: «Il più recente è quello di Wolfgang Beltracchi, incarcerato nell'agosto 2010 per aver venduto dalla metà degli anni '90 dozzine di dipinti di Max Ernst, André Derain, Fernand Léger, Max Pechstein, Heinrich Campendonk e molti altri».
Nonostante parecchi sui falsi siano ancora oggi sulle pareti di svariati grandi musei internazionali, Beltracchi non ha fatto un solo giorno di carcere.
Orson Welles nel suo film del 1973 F come falso narrava di «falsari di professione e critici d'arte che scambiano i quadri dei falsari per veri».
L'arte prigioniera di una F.
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