«Massima riservatezza. È questa la linea che si è data la famiglia». Ci dice così Gianni Forti, fratello del padre di Chico Forti. (Il padre è morto di crepacuore, non ha retto al dolore per la carcerazione di Chico). Lui da anni si batte per riportare il nipote in Italia.
Allora Gianni: finalmente contento?
«È quello che noi stavamo aspettando da un quarto di secolo. Per anni noi abbiamo chiesto la revisione del processo. Ci è stata sempre negata».
Quando è passata in giudicato la sentenza?
«Nel lontano 2009. Ed è da allora che chiediamo ai tanti governi italiani che si sono succeduti di intervenire per rimediare a una situazione assurda».
Sono passati 15 anni. Tanti tentativi inutili.
«Si, molti tentativi a vuoto. E ora finalmente è arrivato il risultato».
Quella che è stata trovata era l'unica soluzione possibile. «Lui era stato condannato a restare in carcere a vita negli Stati Uniti...».
E invece che soluzione si è trovata?
«La Corte d'appello di Trento ha riconosciuto la condanna del tribunale americano. Ieri Chico ha firmato l'accettazione della sentenza in una corte federale americana, e così è stato trasferito in una struttura americana nella quale sarà custodito fino alla partenza per l'Italia, dove sconterà la pena. Non c'era nessuna altra alternativa».
Lui ha dovuto riconoscere la sentenza?
«Sì. Gli Usa avevano posto questa condizione. Ora lui rientra per scontare una condanna all'ergastolo. Ma il suo destino sarà deciso dal sistema giudiziario italiano, perché dal momento nel quale mette piede in Italia cesserà ogni competenza americana. E il sistema italiano è più garantista».
C'era stato l'annuncio di Di Maio qualche anno fa. Disse: «Finalmente ce l'abbiamo fatta, riportiamo Chico in Italia». Si ricorda?
«Sì. Io sono stato in contatto con Di Maio e devo dire che lui ha commesso un peccato di inesperienza. Del resto non si può pretendere da un ragazzo di trent'anni, assurto a questi livelli di potere, che abbia l'esperienza necessaria».
Di Maio vendette la pelle dell'orso prima di averlo preso?
«Esatto. Ha fatto un errore dichiarando che il rientro in Italia sarebbe stato imminente e che Chico sarebbe stato libero. Invece non era così. Non era quello che volevano gli americani. Lui si fidò dell'amministrazione Trump, e delle assicurazioni verbali del segretario di Stato Pompeo».
Invece Giorgia Meloni?
«Ha trattato, ha lavorato, ha aspettato di avere i documenti in mano e poi ha fatto l'annuncio. Non si è accontentata della parola. Il governo Meloni ha fatto un grandissimo lavoro».
Voi siete stati in contatto con il governo di Giorgia Meloni nei mesi scorsi?
«Siamo in contatto con Giorgia Meloni ormai da 4 o 5 anni. Quando non era neppure pensabile che lei potesse diventare presidente del Consiglio. Lei è sempre stata vicina alla famiglia. E ci ha promesso che si sarebbe interessata alla vicenda. Quando è andata a Palazzo Chigi ha mantenuto la promessa».
Sperate che Chico torni libero?
Dal momento nel quale sarà sottoposto al sistema giudiziario italiano potrà tornare a sperare. Siamo un Paese garantista. Ha già scontato 25 anni di prigione...».
Lei parla come zio...
«No, ho sempre parlato sulla base dei documenti. Li ho esaminati tutti, per anni, uno ad uno. Non c'è da nessuna parte la minima prova che potesse sostenere la condanna».
Chico è innocente?
«Noi abbiamo sempre sostenuto che lui non fosse coinvolto in quella vicenda».
Anche Giorgia Meloni è convinta della sua innocenza?
«Assolutamente. Altrimenti perché si sarebbe impegnata con tanta passione e sapienza a ottenere il suo rientro in Italia?».
È grato alla premier?
«Sì. È difficile che un esponente politico si spenda così tanto a favore di un cittadino comune come ha fatto Giorgia Meloni. Troppo spesso è stato usato Chico per fare campagna elettorale».
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