Fin dalle prime ore dopo la tragedia, quando alla brutta storia di Solingen mancano ancora parecchi tasselli, emerge un quadro di estrema fragilità e frustrazione. A cominciare da un dato: la donna ha avuto il suo primo figlio a 16 anni. Il secondo a 19 e in sequenza gli altri quattro. Senza sosta. Per capire meglio abbiamo parlato con Benedetta Foa, psicologa clinica dell'emergenza e esperta nell'elaborazione del lutto.
Sei figli a 27 anni. Cosa si può dedurre da questo dato, oltre a un forte stress nel gestirli, poiché il più piccolo aveva solo un anno?
«Questo elemento ci dice palesemente che la donna non era in grado di gestire il proprio corpo. Una frequenza del genere ci dice che non c'è una logica, non c'è la volontà di un progetto. Ben inteso, nulla contro le famiglie numerose e i fratelli nati a distanze ravvicinate. Non facciamo equazioni azzardate. Ma evidentemente in quella casa non c'erano le condizioni di serenità perché ciò accadesse».
Cioè lei vede un'assenza della famiglia, della coppia?
«Con tutta probabilità si. Quando una ragazzina è in stato di indigenza e fragilità può subire e venire distrutta da un maschile che se ne vuole approfittare. In questa serialità di gravidanze non vedo la coppia. Bisogna poi capire se i bambini erano tutti figli dello stesso padre. C'è la presenza di una nonna, presumibilmente giovane, ma anche qui bisogna capire meglio».
Lei pensa ci siano stati problemi psichici?
«Questo non lo so ma in una situazione di profondo esaurimento, l'elemento scatenante può essere semplicemente il pianto di un figlio che, di colpo, diventa così insopportabile da far scattare la follia. Sfornare tutti quei figli in così poco tempo provoca deterioramento fisico e psichico. E soprattutto non racconta di un progetto. Piuttosto denuncia una forte oppressione».
Di fatto questa donna non è stata ragazza, ma principalmente mamma.
«Infatti. E soprattutto non è stata individuo. A 16 anni non si è strutturati. Lei, con un bambino, è dovuta diventare adulta in fretta ma probabilmente, dentro di sè, non è maturata, non è cresciuta. Di fatto, non ha mai vissuto se stessa, dovendo dare la priorità all'accudimento dei bambini».
Per altro in un'età cruciale.
«Un tempo a 16 anni si era già donne, nella nostra società si è solo ragazzine. Tra i 16 e i 27 anni avvengono i cambiamenti più importanti, quelli che aiutano una ragazza a diventare donna».
Ora per questa donna comincerà un tormento senza fine.
«Verrà presa in carico, assistita dagli psichiatri.
Un percorso di condanna infinito. Purtroppo anche per il bambino di 11 sopravvissuto inizierà un percorso molto difficile e, in assenza di figure adatte in famiglia, verrà affidato ai servizi sociali e dato in adozione».
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