Alla storia del rapimento finito male non crede. Neppure ora che dalle carte dell'indagine della Procura di Roma emergono i dettagli sull'omicidio dell'ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci, uccisi per non aver dato ai banditi i 50mila dollari che chiedevano per lasciarli passare.
Il padre del diplomatico, Salvatore, nel giorno della commemorazione del figlio, a un anno dalla scomparsa, non si dà pace. La conclusione dell'inchiesta non lo convince: non è stato un rapimento andato storto. «Ci sono tantissime cose che non quadrano», dice. Per i pm, invece, sarebbe andata proprio così: il 22 febbraio del 2021 i balordi che assaltarono il convoglio Onu su cui viaggiava Attanasio in Congo chiesero la consegna immediata del denaro, che l'ambasciatore non aveva con sé. Il rifiuto avrebbe scatenato il conflitto a fuoco in cui persero la vita il diplomatico e la sua scorta. Una tragedia che, per i magistrati, si sarebbe potuta evitare se fossero stati rispettati i protocolli di sicurezza della missione. Per questo sono stati indagati per omicidio colposo Rocco Leone, vicedirettore del Pam, il programma alimentare dell'Onu, e il suo collaboratore Mansour Rwagaza. Il padre di Attanasio lo considera «un primo passo», ma aspetta ulteriori sviluppi: «È un cerchio che via via si stringe. Vediamo quanti pesci nella rete resteranno impigliati». «Finché non ci sarà verità e non ci sarà giustizia, noi non avremo pace», dice. Attanasio ha fiducia nella giustizia e si augura che «il sostegno delle istituzioni continui perché senza l'aiuto del governo anche i magistrati possono fare poco». Un dolore immenso, quello della famiglia Attanasio: «Per noi tutti i giorni sono come il primo giorno, il dolore è sempre uguale. Anzi, a volte non ci rendiamo conto di quello che è successo». Solo per un caso - come emerge ora dal libro del giornalista Fabio Marchese Ragona - il giorno dell'agguato la moglie dell'ambasciatore, Zakia Seddiki, non era con lui. «Dovevo essere insieme a Luca - rivela - ma questa volta per via di una coincidenza, mia mamma che non poteva tenere le bambine, ero stata costretta a rimanere a Kinshasa. Era una mattina normalissima, avevo preparato le bimbe e le stavo accompagnando a scuola in macchina. Sapevo che Luca aveva in programma di fare una visita al progetto Pam riguardante le mense scolastiche e che era sempre con Vittorio. Aveva chiamato sua mamma per un saluto e poi me». Di lì a poco l'assalto mortale. E ora il vuoto che cerca di superare portando avanti il messaggio del marito: credere nei sogni e nell'umanità. Con le tre figlie al fianco. «Chiedono sempre del papà, ma lui ci darà la forza di superare la sua mancanza», dice.
Un dolore condiviso con la famiglia Iacovacci: «È forte come il primo giorno, mentre aumentano la consapevolezza che nulla sarà come prima e l'esigenza di avere risposte», afferma il fratello del carabiniere ucciso, Dario.
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