Autobombe in sinagoga. La Francia sotto choc: "Sospetto pro-Palestina"

Filmato un uomo con una bandiera legata in vita. Macron: "Faremo di tutto per trovarlo"

Autobombe in sinagoga. La Francia sotto choc: "Sospetto pro-Palestina"
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Dalla colonna di fumo nero che avvolge la sinagoga Beth Yaacov a La Grande-Motte, nell'Hérault, l'acre odore di attentato si sparge in pochi istanti in tutta la Francia. Siamo nel sud dell'Esagono, a 25 km da Montpellier. Pochi minuti e torna la paura. È la cartolina di un Paese costretto dagli eventi a raccontare che gli ebrei d'Oltralpe sono ancora una volta nel mirino. Senza un nuovo governo, e nel pieno delle consultazioni politiche per sapere chi sarà il neo premier, due auto parcheggiate davanti all'edificio religioso, una delle quali con una bombola di gas a bordo, vengono date alle fiamme alle 8,30 di ieri. Una forte esplosione, poco dopo, scuote il quartiere e ferisce un agente della municipale che sorvegliava la sinagoga. Rapidamente, il presidente Macron bolla l'incendio come «atto terroristico», abbandonando la consueta cautela che in circostanze simili in passato ha suggerito lunghi silenzi e frasi attendiste. Stavolta c'è un'auto saltata in aria; un lento piano bomba. Con i fedeli in arrivo. Le immagini della videosorveglianza mostrano un sospetto in fuga che ha con sé una bandiera palestinese, una pistola 9 mm e due bottiglie di plastica. Azione dunque immediatamente circostanziata da inquirenti e capo dello Stato. «Si sta facendo di tutto per trovare l'autore», dichiara Macron, assicurando che «la lotta contro l'antisemitismo è costante».

Nella sinagoga c'erano cinque persone, compreso il rabbino. Comunità sotto choc. La procura antiterrorismo (Pnat) apre subito un'inchiesta incaricandosi del dossier. E dopo aver constatato che l'agente ferito dall'esplosione, ospedalizzato, non fosse grave, e che in fiamme erano finite «solo» due porte della sinagoga, parte la caccia all'autore del gesto, tuttora in fuga.

La sensazione di vulnerabilità e la paura, sopraggiunta peraltro alla vigilia delle Paralimpiadi che si apriranno mercoledì, costringe il premier Attal e il ministro dell'Interno Darmanin, dimissionari da oltre un mese, a raggiungere l'Hérault. Punto stampa sul posto. Per Attal, «scampato un dramma assoluto, l'assalitore era estremamente determinato, 200 poliziotti e gendarmi mobilitati, quel che è successo scandalizza, progressione terribile degli atti antisemiti». Già 887 nei primi sei mesi dell'anno in Francia, quasi il triplo rispetto al 2023 (304). Darmanin si affretta su X a far sapere d'aver chiesto ai prefetti di rafforzare la vigilanza davanti ai luoghi di culto ebraici di tutto l'Esagono. Ma è una Francia scoperta, tremendamente fragile, quella che emerge dopo la sbornia di elogi sulla tenuta della sicurezza delle Olimpiadi, profusi dall'Eliseo. Se il rischio zero non esiste, l'attacco mette Attal anche davanti alle scelte fatte in campagna elettorale: l'aver invitato a votare, in nome della «barriera» ai lepenisti, membri dell'estrema sinistra che dal 7 ottobre non hanno condannato il terrorismo di Hamas.

Mélenchon ieri si è limitato a parlare di «crimine intollerabile» nell'Hérault, spiegando in modo fumoso che «laicità e libertà di coscienza sono figlie della libertà di religione». Attal ammette solo un clima alimentato dal 7 ottobre «da alcuni» che porta ad accrescere l'odio verso gli ebrei francesi. Senza riferimenti ai mélenchoniani.

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