Lo stupro come arma di guerra. Usata dai terroristi di Hamas non solo il 7 ottobre, giorno della strage, ma ancora in questi giorni nella Striscia di Gaza, ai danni degli ostaggi tuttora prigionieri. «In questo preciso momento, qualcuno viene stuprato in un tunnel a Gaza. Non abbiamo il diritto di stare qui fermi e seduti. Dobbiamo gridare per loro». A parlare è Shir, che ieri ha accompagnato sua madre Aviva Siegel, 64 anni, a testimoniare durante una drammatica seduta alla Knesset. Aviva è stata catturata con il marito Keith nel kibbutz di Kfar Aza ed è stata liberata a novembre, dopo 51 giorni di prigionia, in seguito a uno scambio di prigionieri con Hamas. Il marito è ancora fra i circa 130 ostaggi in mano agli integralisti a Gaza. Il racconto di Aviva è drammatico quanto sconcertante. Ragazze in ostaggio trattate come «bambole» per soddisfare gli appetiti sessuali dei loro aguzzini. Uomini vittime pure loro di abusi di ogni genere, incluse le violenze sessuali. «Hanno subìto le stesse cose». Con l'unica differenza «che non rischiano una gravidanza, ma restano marionette appese a un filo».
«L'ho visto con i miei occhi», dice Aviva nella sua straziante testimonianza. «I terroristi portavano alle ragazze prigioniere vestiti inappropriati, vestiti per bambole e le trattavano come le proprie bambole. Bambole a cui puoi fare quello che vuoi, quando vuoi», racconta la donna, che fa fatica a parlare: «Non riesco a respirare, non ce la faccio, è troppo dura». Poi si fa coraggio e ricostruisce un altro episodio, quella volta che una giovane è tornata dal bagno sconvolta. Lei ha tentato di abbracciarla ma un terrorista che la sorvegliava gliel'ha impedito. Aviva non ha dubbi. «Ho visto che si era chiusa, era silenziosa, non era più se stessa. Scusate il mio linguaggio, ma questo figlio di puttana l'aveva toccata e non mi ha nemmeno permesso di abbracciarla. È terribile, semplicemente terribile».
Nei prossimi mesi potremmo trovarci a parlare di gravidanze» frutto di violenze, di figli dei terroristi, ha spiegato Shelly Tal Meron, una delle organizzatrici dell'udienza. «La mamma di una delle ragazze ostaggio mi ha chiesto se si potessero mandare pillole anticoncezionali tramite la Croce Rossa a Gaza».
Chen Goldstein Almog, rilasciata anche lei con i tre figli durante la tregua Israele-Hamas, ha raccontato di prigioniere costrette a subire «gravi abusi sessuali», «con ferite serie e complesse di cui non ci si prendeva cura». «Forse è per questo che dovremmo pregare - ha spiegato - che sia il corpo a proteggersi in modo che, Dio non voglia, non possano rimanere incinte».
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