"Basta appello per le assoluzioni. È una garanzia di civiltà del sistema"

Il penalista ex parlamentare azzurro: "Il ministro Nordio si è già espresso a favore. Si colma una lacuna e si velocizzano i processi"

"Basta appello per le assoluzioni. È una garanzia di civiltà del sistema"

I tecnici la chiamano inappellabilità delle sentenze di assoluzione. «Può sembrare una formula astratta, in realtà è una garanzia di civiltà che spero entri presto nel nostro sistema processuale», spiega l'avvocato Maurizio Paniz, a lungo parlamentare di Forza Italia, difensore di molti imputati celebri, come Elvo Zornitta, considerato Unabomber e poi prosciolto.

C'era la legge Pecorella, avvocato, che andava in quella direzione, ma fu bocciata dalla Corte costituzionale.

«Dunque, nel 2007 Gaetano Pecorella scrive una norma che mette insieme diritto e buonsenso. Se un imputato viene assolto in primo grado, il pm non può impugnare quel verdetto in appello. Basta, fine dei giochi».

Scusi, che c'entra il buonsenso?

« C'entra, eccome. Nel 1999 viene introdotto in Costituzione il giusto processo: la condanna può arrivare solo se la colpevolezza è provata oltre ogni ragionevole dubbio. Mi faccio quindi una domanda elementare: se il tribunale o la corte d'assise stabiliscono che un tizio è innocente, o se si preferisce non colpevole, come è possibile superare ogni ragionevole dubbio in appello? Se un giudice o il collegio non erano convinti della colpevolezza, quel punto di domanda rimane e resta per sempre».

Peró le condanne più di una volta ribaltano le assoluzioni. Come mai?

«Siamo al punto decisivo. La legge Pecorella fu bocciata dalla Consulta. Il ragionamento è stato il seguente: se si blocca l'accusa, che non può più impugnare una assoluzione, allora cade la parità fra pm e avvocato. In realtà, io credo che all'epoca abbiano contato le vicende di Berlusconi. In qualche modo, in quel clima acceso e di scontro fra il Cavaliere e le procure, la Consulta ha dato una mano all'accusa che avrebbe perso più di un round».

Si, e il ragionevole dubbio dove è finito?

«Purtroppo non si è valorizzato il testo dell'art. 27 della Costituzione, ma il principio non cade. Come si fa a dare una pena chi in primo grado è stato riconosciuto innocente? Vuol dire che la condanna non è inflitta oltre ogni ragionevole dubbio».

Come si fa?

«Succede, ma non va bene: è un vulnus ai diritti della persona e non ci vuole un fine giurista per comprenderlo. D'altra parte il diritto europeo sottolinea in due documenti molto importanti proprio questo principio relativo ai diritti della persona».

Quale capitolo?

«Solo un condannato ha diritto a una verifica giurisdizionale di secondo grado, non l'accusa quando perde in primo grado. Attenzione: a dirlo sono la Convenzione per i diritti della persona e il Patto per i diritti civili e le libertà fondamentali».

Insomma, non ci sarà un altro stop dalla Consulta?

«Credo che i tempi siano maturi per affermare quel che già dice la Costituzione. Si deve partire dal giusto processo e poi, come accennavo, l'Europa ha approfondito le garanzie dell'imputato. La parità fra accusa e difesa non si realizza nell'uniformità. Io penso che una norma ben argomentata possa reggere all'esame della Corte Costituzionale. E il ministro Nordio si è espresso con forza a favore di una legge che non sarebbe un regalo a qualcuno ma colmerebbe solo una lacuna. Ancora, passaggio non banale, la riforma porterebbe a ridisegnare le forze della magistratura sul campo».

C'è una stima di questa nuova configurazione?

«Si, si parla di 700 magistrati dell'appello e delle procure generali che potrebbero riempire le caselle vuote in altri ruoli delicatissimi e con organici insufficienti».

Si velocizzerebbero i processi?

«Si, se non altro togliendo un grado di giudizio che, dopo un'assoluzione, diventa una sfida ai nostri codici».

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