Nulla. «Non c'è un piano», si lamenta Carlo Bonomi. «Dagli Stati Generali mi sarei aspettato un cronoprogramma con gli effetti attesi - dice il presidente di Confindustria - e mi chiedo allora perché non adottino il nostro, già pronto e preciso». Non c'è un'idea forte, non c'è un progetto per il futuro, perché il masterplan in nove punti illustrato dal premier non sembra il massimo della concretezza. Ma non ci sono nemmeno gli euro per tamponare il presente: duecentomila persone, quattrocentomila secondo altri calcoli, aspettano da mesi la cassa integrazione. C'è in compenso un altro annuncio. «Abbiamo predisposto un decreto legge - spiega Giuseppe Conte - grazie al quale le aziende e i lavoratori che hanno esaurito le prime quattordici settimane di cassa potranno richiedere da subito le ulteriori quattro.
In serata un Consiglio dei ministri, convocato a margine degli incontri di Villa Pamphilj, ratifica, mentre Conte giura che «non è prevista alcuna patrimoniale». Ai sindacati però non basta, vogliono il blocco totale dei licenziamenti per tutto il 2020 e i sussidi connessi. Il premier li incontra parla, promette, allude, ma non convince Cgil, Cisl e Uil, che dopo «un confronto franco» lasciano il Casinò di Bello Sguardo senza troppe certezze. «Ha dato risposte alla Conte, vaghe».
Dunque non bastava l'imminente esplosione dei 5s, la rottura con l'opposizione e la graduale presa di distanze da parte del Pd. E neanche le divisioni su giustizia e grandi opere, le liti interne alla maggioranza e la guerriglia scatenata da Renzi, ora è sui soldi che si apre un nuovo pericoloso fronte per Palazzo Chigi. I fondi europei, innanzitutto: il governo è stretto tra la scelta obbligata di accedere al Mes nonostante la contrarietà dei Cinque Stelle e la difficile trattativa che si sta per aprire sul Recovery Fund. Ma la vera mina sotto il tavolo sono i sussidi italiani per il lavoro. «È una politica molto onerosa - dice Conte - per gli ammortizzatori sono stati stanziati già 25 miliardi». Se non sveltirà in fretta il meccanismo della cassa in deroga, o se non riuscirà a far scattare davvero in modo automatico le quattro settimane aggiuntive, rischia a settembre di trovarsi il popolo in piazza con i forconi.
Stando all'Istat, per non fallire il settanta per cento delle imprese con almeno tre dipendenti ha usato la cassa e il fondo speciale per il salario. In questi mesi l'Inps è riuscita a evadere, e soltanto da pochi giorni, otto domande su dieci. Che succederà adesso, quando arriverà una nuova valanga di richieste? Scatterà il rinnovo automatico? Si vedrà. Per il futuro il premier pensa al «superamento della cassa integrazione, uno strumento farraginoso e antiquato», che nelle intenzioni dovrebbe essere sostituita da «modelli più semplici e veloci» di ammortizzatori sociali. Le priorità sono «la tutela del reddito, la qualità del lavoro» e, in un domani imprecisato, il salario minimo. Nel frattempo il problema rimane, tanto più che i sindacati vogliono che la cassa arrivi almeno a fine anno.
Programmi ancora fumosi. Eppure appena sabato un tipo misurato come Vincenzo Visco aveva invitato il governo a quagliare. «Ora servono atti concreti - l'appello del governatore di Bankitalia - l'incertezza dell'economia non deve essere una scusa per non agire».
E Sergio Mattarella aveva
battezzato gli Stati Generali ricordando che si aspetta «risultati dalle discussioni» e un coinvolgimento dei giovani. Insomma, il governo traballa e a settembre si vota per referendum e Regionali, anche se non si sa dove.
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