La bella vita del body builder (coi soldi di una disabile)

Nel 2009 l'omicidio della moglie: fu assolto per incapacità di intendere. Ma la lucidità ce l'ha

La bella vita del body builder (coi soldi di una disabile)
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Matto ma fino a un certo punto. Quattordici anni fa Mauro Rozza aveva massacrato la moglie a coltellate, nel loro appartamento di via Boloma, a Milano, ed era stato assolto perchè «incapace di intendere e di volere». Unica pena, dieci anni di manicomio ridotti poi a cinque. Appena uscito dall'ospedale psichiatrico, Rozza ha però dimostrato che i suoi problemi mentali non gli impediscono di godersi la vita: si è dato alla pazza gioia, tra auto di lusso e vacanze da sogno, al punto di presentarsi sul web come «viaggiatore seriale». Come finanziava il suo invidiabile tenore di vita? Semplice: con i soldi che la madre sottraeva a una anziana amica di famiglia, di cui si era riuscita a far nominare amministratrice di sostegno. Giorno dopo giorno, i conti e i beni della signora si erano svuotati, mentre Rozza, sua madre Antonia Meanti e il marito compravano case e azioni qua e là per l'Italia.

La brutta storia viene alla luce ieri, quando la procura della Repubblica annuncia che - grazie alle indagini della Guardia di finanza e del pm Cristiana Roveda - è scattato il sequestro di un milione e 372mila euro a carico di Rozza e famiglia, accusati di peculato, autoriciclaggio e frode informatica. Tra i beni confiscati, una Ferrari 480 Spider e settecentomila euro in contanti trovati in una cassetta di sicurezza.

La nuova inchiesta riporta inevitabilmente alla prima, tragica storia: a quel 17 aprile 2009 in cui gli agenti del commissariato di viale Monza si videro arrivare un uomo gonfio di muscoli e con un coltello in mano: «Ho appena ucciso mia moglie», disse. Era tutto vero. Nell'appartamento di via Bolama c'era il corpo martoriato di una giovane donna. I medici legali nel corso dell'autopsia trovarono le tracce di settanta coltellate. L'assassino era Mauro Rozza: campione di bodybuilding, titolare negli Stati Uniti di una florido business di prodotti per culturisti e di personal training. Rozza e la moglie Maria Casamassima vivevano a Miami e tornavano a Milano solo per le vacanze di Pasqua. «Credevo di averle dato solo una coltellata», disse alla polizia. Al processo il pm Giancarla Serafini chiese vent'anni di carcere per il bodybuilder. La Corte d'assise lo assolse, grazie alla perizia psichiatrica. Rozza, dissero i medici, era vittima di una forma di depressione causata anche dalla ossessione per la forma fisica. Che il conto finale per un femminicidio brutale si sia potuto ridurre a cinque anni di ospedale psichiatrico è, con la sensibilità di oggi, difficile da comprendere. Sta di fatto che nel 2014 Rozza torna libero e vivace, pronto a godere i vantaggi del saccheggio sistematico cui sua madre si è dedicata dei conti di una amica di famiglia: Silvia C., 58 anni, vedova di un imprenditore, fragile al punto di essere dichiara totalmente inabile dal tribunale. Dovendo nominare un amministratore fiduciario, i giudici avevano scelto Antonia Meanti. Da lì, inizia il saccheggio: assegni, prelievi in contanti, bonifici. Ma a Natale alla signora disabile arriva sempre un regalo: un pigiama. Quando interviene la Guardia di finanza, allertata dai movimenti bancari anomali, del patrimonio della signora Silvia resta poco.

Non è la prima storia di persone deboli divenute vittime di chi doveva prendersi cura di loro. Ma qui, quando salta fuori il nome di Mauro Rozza, tutto cambia. E una domanda si impone. Rozza è guarito in ospedale? O matto davvero non lo è stato mai?

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