La città di Cassino, in latino Casinum (poi Castrum Casini e Castellum Sancti Petri), avrebbe dovuto chiamarsi Eulogimenopoli nel ricordo della figura di san Benedetto - da una parola greca che vuol dire «benedizione» - , il santo fondatore dell'abbazia di Montecassino. L'abate Bertario, trucidato dai saraceni nella chiesa di San Salvatore il 22 ottobre 883, aveva chiamato così il piccolo borgo da lui stesso edificato ai piedi del monte su cui si ergeva il cenobio, secondo una moda orientaleggiante diffusa anche a Roma. Qualche anno dopo la sua fondazione, a seguito di una donazione dell'imperatore, Ludovico II il Giovane (morto nell'875), consistente in una reliquia di san Germano, Eulogimenopoli sarebbe divenuta San Germano.
Bertario, che Giovanni VIII arrivò a minacciare di scomunica - lo si ricava da una sua lettera a Ludovico II (873) - a causa delle parole riservategli dal focoso abate, cui il papa aveva raccomandato per tre volte un monaco di nome Adelperto, svolse un'opera meritoria di ricognizione, ricostruzione e salvaguardia del patrimonio benedettino, consacrando a san Benedetto il territorio di Cassino. Il 12 giugno scorso qualcuno ha provato a sottrarre quel territorio al culto del santo, consegnandolo nelle mani di Maria: 13 fra parroci e diaconi, più il primo firmatario, don Aniello (Nello) Crescenzi, si sono rivolti al sindaco, Enzo Salera, perché Cassino venisse dichiarata città mariana e, dunque, affidata alla protezione della Beata Vergine. Il primo cittadino, che si era visto approvare la petizione dalla Giunta (delibera n. 162, 8 luglio), è stato ora costretto, col montare della protesta, a fare un passo indietro: il 4 agosto la Giunta è tornata sulle sue decisioni (delibera n. 191), revocando l'atto inizialmente approvato.
Dietro la richiesta dei 14 ecclesiastici c'è monsignor Gerardo Antonazzo, vescovo della diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, dal quale si attende ora la prossima mossa. Molti intanto, don Nello compreso, si sono sfilati dall'iniziativa. A guidare i «faziosi» sono rimasti due irriducibili: un parroco (don Benedetto Minchella) e un diacono (don Francesco Paolo Vennitti). Fatti interni alla Chiesa, come qualcuno ha sostenuto? Tutt'altro, perché, qualora il Comune dichiarasse Cassino città mariana, ad accogliere i visitatori, come in tanti comuni d'Italia, potrebbe esserci una bella targa con su scritto «Cassino Civitas Mariae». Un intollerabile sgarbo alla cultura benedettina e al suo fondatore.
Di quella straordinaria cultura il Lazio, insieme a tutta l'Italia mediana, è fortemente debitore (nell'abbazia di Montecassino si conserva il più antico monumento in volgare della storia della nostra penisola, il placito capuano del 960, Sao ko kelle terre...). Il modello benedettino funzionò da formidabile nodo collettore, da rete «naturale» fra i luoghi e le persone, grazie all'opera degli infaticabili monaci che copiando manoscritti su manoscritti, e facendo circolare le loro copie fra i monasteri intitolati a san Benedetto, svolsero un'azione decisiva per la conservazione e la trasmissione del nostro patrimonio librario.
Oggi, per giunta, che siamo sempre più chiamati a stringerci, rinsaldarci e affratellarci, spesso proprio in forza di legami di antica solidarietà che, per la nostra stessa storia, non possiamo dimenticare di possedere, la Chiesa, più di qualunque altro soggetto, non può permettersi di dividere. Se ne rammentino i parroci firmatari della petizione in favore di Maria. Se ne rammenti (soprattutto) il vescovo. Se ne rammenti (in particolare) don Francesco Vennitti.
A scorrere alcuni suoi post su Facebook si rimane un po' sconcertati nel leggere, in un uomo di Chiesa, di una processione bollata come «penosa» per via della scarsa partecipazione dei fedeli: «una ventina di persone spaurite e disorientate». Era il 24 ottobre 2014, e si celebrava il cinquantesimo della proclamazione di san Benedetto a patrono d'Europa da parte di Paolo VI.
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