La misura più evidente di quanto la svolta fosse inattesa la dà la reazione tra lo scomposto e l'attonito di Irene Terrel, avvocatessa francese specializzata nella difesa di esuli politici: «Sono stupefatta, è una decisione inimmaginabile, scandalosa». Si può capirla. Perché fino a ieri il suo assistito Luigi Bergamin, ex terrorista rosso e pluriomicidia, poteva vedere i propri guai giudiziari vicini a svanire per sempre. Arrestato nella retata che nell'aprile scorso aveva colpito altri undici latitanti italiani da tempo riparati in Francia all'ombra della «dottrina Mitterrand», Bergamin - già leader insieme a Cesare Battisti dei Pac, i Proletari armati per il Comunismo - l'11 maggio si era visto inopinatamente salvare da una sentenza della Corte d'assise di Milano che aveva dichiarata prescritta la condanna a 23 anni inflittagli nel 1990.
Grazie a quella sentenza, il prossimo 20 aprile - quando il suo fascicolo verrà esaminato - la Corte d'appello di Parigi non avrebbe potuto che prender atto di quella sentenza, e archiviare la richiesta d'estradizione avanzata dall'Italia.
Da quel momento Bergamin sarebbe tornato ad essere un cittadino libero a tutti gli effetti. Libero persino di tornare in Italia senza che nessuno potesse più presentargli il conto dei suoi delitti. Invece la Cassazione ieri getta acqua gelata sulle speranze di salvezza di Bergamin. Bergamin, dice la Cassazione, è un «delinquente abituale». E le condanne dei delinquenti abituali non si prescrivono. «Che venga estradato e che sconti la pena», è il commento de fratello di Andrea Campagna, l'agente della Digos di Milano che fu una delle vittime dei Pac. Se la lunga caccia a Bergamin non si è conclusa con una beffa è merito dell'ostinazione con cui un pubblico ministero milanese, Adriana Blasco, ha continuato a seguirne le tracce.
Dalla sua, Bergamin aveva il trattamento indulgente che per motivi incomprensibili aveva ricevuto dalla giustizia italiana. Mentre il suo complice e amico Cesare Battisti - anche lui rifugiato in Francia - veniva condannato all'ergastolo, Bergamin se la cavava con 23 anni per l'uccisione del comandante del carcere di Udine, Antonio Santoro. Ridicola, se non fosse tragica, la pena per l'uccisione dell'agente Campagna: due anni. Altri due anni per una sfilza di gambizzazioni e rapine. Nel 2008 tutte le condanne minori vengono dichiarate prescritte. Quando, la primavera scorsa, gli accordi tra il governo italiano e Macron fecero partire i preparativi per la retata, la pm Blasco si accorse in fretta che anche la pena principale inflitta a Bergamin per il delitto Santoro era vicina alla prescrizione. E ottenne in fretta e furia che il latitante venisse dichiarato «delinquente abituale».
Su questo provvedimento si è consumata l'ultima battaglia, l'ultimo tentativo italiano di consegnare Bergamin alle carceri. La decisione della Corte d'assise di Milano che aveva dichiarato prescritta l'intera pena era sembrata la pietra tombale, ora la Cassazione riapre i giochi. Non è detta l'ultima parola, perché intorno a Bergamin e agli altri latitanti si stanno mobilitando in Francia schiere di intellettuali.
Fa impressione leggere come anche in Italia, e da parte di ex terroristi che nel frattempo hanno pagato il loro debito, la sorte degli «esuli» venga vissuta con angoscia.
Ma intanto la possibilità che Bergamin segua la sorte di Battisti, che
sta scontando la pena in carcere, torna concreta. Come dice il fratello dell'agente Campagna, «loro hanno sempre detto di essere in guerra e i crimini di guerra, come sono gli omicidi dei terroristi, non si prescrivono».
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