Berlusconi e la politica: "Dopo il 4 dicembre decido se restare o no"

Il leader: "Dai cittadini 200 milioni di voti in 20 anni. Mi sento ancora necessario"

Berlusconi e la politica: "Dopo il 4 dicembre decido se restare o no"

Roma L'orgoglio per i nostri concittadini che in giro per il mondo hanno tenuto alto il nome della patria. Il segnale d'allarme sulla riduzione degli spazi di democrazia generata dalla riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi. L'invito a leggere una riforma che «rischia di trasformare gli italiani all'estero in cittadini di serie B» perché «è vergognoso che Renzi cancelli, fra gli altri aspetti, i vostri diritti che noi avevamo introdotto». La stoccata al premier sul tira e molla sulle dimissioni.

Silvio Berlusconi lancia il suo messaggio agli italiani all'estero e si rivolge in particolare a quelli che risiedono negli Stati Uniti, attraverso una intervista ad America Oggi. Nella stessa giornata si fa intervistare, in un match decisamente acceso, da Bianca Berlinguer su Rai3. E qui fa scorrere un brivido sulla schiena dei suoi sostenitori. «Dopo il referendum del 4 dicembre prenderò con calma la decisione se continuare o lasciare la vita politica». Il dubbio sembra, però, svanire subito dopo quando il presidente di Forza Italia manifesta «un senso di responsabilità nei confronti dei cittadini» che «mi hanno dato 200 milioni di voti in venti anni» e «mi fanno sentire ancora necessario». Un concetto rafforzato quando Berlusconi ricorda che «un leader viene dal basso, lo decide e lo sceglie la gente. Io non ho in mente nessun nome, ho in mente me stesso, se ancora resterò in campo». Un discorso, quello sulla leadership, ripreso anche con America Oggi: «Non siamo una monarchia. I successori emergono naturalmente quando un nuovo leader dimostra sul campo di avere la forza, la passione, la capacità di coinvolgere la gente. Non dipende né da me né da altri nominarlo, non esiste un concorso per candidati leader. Esistono le regole, dure ma giuste, della competizione politica».

Berlusconi si sofferma diffusamente sugli scenari post-referendari. «Un percorso logico dopo la vittoria del No sarebbe quello di fare subito una nuova e diversa legge elettorale, e poi ridare la parola agli italiani per arrivare finalmente a una maggioranza parlamentare che corrisponda alla maggioranza dei cittadini e a un governo che ne sia espressione». Ma il Cavaliere sa bene che «in ogni caso sarà il Presidente della Repubblica a farsi garante di un percorso che senza avventure concluda la legislatura. Noi prenderemo atto con rispetto delle sue scelte, e ci regoleremo di conseguenza. Di certo, potremo collaborare alla nuova legge elettorale, anzi riteniamo necessario e doveroso che sia una legge condivisa, ma non parteciperemo a nessun governo di scopo con il Partito democratico».

L'indisponibilità di Renzi a sedersi a un tavolo sulla legge elettorale, in caso di vittoria del No al referendum non lo scompone affatto. «Se non ci sarà lui, ci sarà di sicuro il suo partito, interessato a cambiare legge elettorale». Detto questo «i numeri parlamentari non cambiano, anche in caso di vittoria del No, quindi se Renzi deciderà di restare, potrà farlo. Lui ha promesso, se sconfitto, di farsi da parte: non sarebbe la prima promessa che non mantiene». Infine una battuta sugli alleati sulla cui volontà di lavorare insieme non mostra di nutrire dubbi. «Se Meloni e Salvini non accettassero di far parte della coalizione, cosa che escludo assolutamente, diventerebbero semplicemente irrilevanti».

Berlusconi si sofferma anche su chi invoca il «cambiamento», a prescindere dai contenuti. «Io personalmente sono stato fra i primi a porre con forza in Parlamento, dal 1995, il tema della riforma istituzionale.

Il fatto è che non tutte le riforme, non tutti i cambiamenti, sono equivalenti. Si può cambiare in meglio, o in peggio. La riforma di Renzi non risolve nessuno dei problemi veri, non offre più efficienza né minori costi, e al tempo stesso riduce gli spazi di democrazia».

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