Benjamin Netanyahu ribadisce il sostegno al piano per il cessate il fuoco annunciato da Joe Biden, rispedendo al mittente le accuse di Hamas secondo cui è Israele a non volere l'accordo. Mentre sull'offensiva a Rafah, afferma che la fase «intensa» dei combattimenti «è quasi terminata». «Ci stiamo chiaramente avvicinando al punto in cui possiamo dire di aver smantellato la Brigata Rafah, sconfitta non nel senso che non ci sono più terroristi, ma nel senso che non può più funzionare come unità combattente», precisa il capo di stato maggiore israeliano Herzi Halevi. Riguardo la tregua il premier spiega, intervenendo alla Knesset, che «siamo impegnati a sostenere la proposta israeliana accolta con favore dal presidente Biden. La nostra posizione non è cambiata. Vi prometto 3 cose: la prima è che non finiremo la guerra finché non avremo indietro i nostri ostaggi, vivi o morti. La seconda, che non contraddice la prima, è che non vi porremo fine finché non elimineremo Hamas e finché non riporteremo sani e salvi i residenti del Sud e del Nord alle loro case. La terza è che ad ogni costo e in ogni modo, contrasteremo le intenzioni dell'Iran di distruggerci».
Il tutto mentre Netanyahu è nella bufera dopo che lui e altri 4 alti ufficiali hanno ricevuto una lettera-avviso da una Commissione di indagine statale sul cosiddetto affare dei sottomarini acquistati dal gruppo navale tedesco Thyssenkrupp per un valore di due miliardi di dollari, che è stato sotto esame per possibile corruzione. Il premier - si sottolinea - ha preso decisioni con «implicazioni significative per la sicurezza» senza un processo decisionale ordinato, scavalcando il proprio governo per raggiungere accordi con la Germania. Lui respinge ogni accusa, sostenendo - secondo il suo ufficio - che l'acquisto «sottomarini è un elemento centrale per la sicurezza nazionale di Israele e per garantire la sua esistenza contro l'Iran».
Intanto il ministro della Difesa di Tel Aviv Yoav Gallant è a Washington dove ha incontrato il segretario di stato Usa Antony Blinken e il capo della Cia William Burns, mentre oggi avrà un colloquio con il capo del Pentagono Lloyd Austin, e mercoledì con il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan. Il passaggio alla fase 3 della campagna militare a Gaza, che comprende la sconfitta degli ultimi battaglioni di Hamas a Rafah, «impatterà sugli sviluppi in tutti gli altri fronti, e Israele si sta preparando ad ogni scenario sia militare sia diplomatico», dice Gallant, riaffermando poi «il suo impegno a cambiare la situazione di sicurezza al confine» con il Libano. Proprio su questo fronte, l'ufficiale più alto in grado delle forze armate americane, il generale dell'aeronautica e capo dello stato maggiore congiunto C.Q. Brown, avverte che un'offensiva di Israele nel Paese può aumentare il rischio di un conflitto più ampio che attiri l'Iran e i militanti allineati con Teheran, in particolare se l'esistenza di Hezbollah venisse minacciata. «Hezbollah è più potente di Hamas per quanto riguarda capacità complessiva, numero di razzi e simili. E vedrei l'Iran più propenso a fornire un maggiore sostegno», sottolinea: «Tutto ciò potrebbe contribuire ad ampliare il conflitto nella regione e far sì che Israele si preoccupi non solo di ciò che sta accadendo nella parte meridionale del Paese, ma anche di ciò che sta accadendo nel Nord».
«Dal nostro punto di vista, rispetto a dove si trovano le nostre forze e del breve raggio tra Libano e Israele, è più difficile per noi essere in grado di sostenere lo Stato ebraico nello stesso modo in cui lo abbiamo fatto in aprile», aggiunge il generale riferendosi all'attacco iraniano contro l'alleato.
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