Il bicchiere è mezzo pieno, anche se il Vinitaly è mezzo vuoto. L'edizione speciale - che vuol dire ridotta e fuori stagione - della più importante salone italiano del vino si è chiusa ieri alla Fiera di Verona, è stato un momento di ripartenza per il vino italiano e per tutto il made in Italy agroalimentare di cui esso costituisce un driver fatidico. Va detto che il vino ha sofferto meno di altri comparti del Covid e dei lockdown perché il consumo casalingo ha in parte compensato quello esterno, ma è comunque bello tornare a brindare in compagnia e guardandosi negli occhi.
Un punto di ripartenza, quindi, in un'edizione come detto minore, che infatti è fuori dal conteggio ufficiale. L'edizione numero 54 della fiera veronese sarà quella dal 10 al 13 aprile 2022, e succederà a quella numero 53 del 2019, l'ultima pre-pandemia. Solo due i padiglioni aperti rispetto ai dodici consueti, e pochi produttori presenti (circa 400) molti dei quali raggruppati per consorzi e territori e non con spazi singoli. Un Vinitaly in punta di piedi che pure ha certificato l'ottima salute del vino italiano.
Anche grazie al revenge spending, ovvero all'acquisto compensativo da lockdown, le vendite di vino italiano nel dodici Paesi che sono i buyer principali è cresciuta nel primo semestre 2021 del 7,1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020 ma soprattutto del 6,8 sul 2019, pari in valore a 2,6 miliardi di euro. Fanno boom soprattutto Cina (+36,8 per cento), Russia (+29,4) e Germania (+9,3). La crescita riguarda più le bollicine (+11,1) che i vini fermi (+6,9) a conferma di una tendenza consolidata. E interessa i vini di fascia medio-alta come i rossi Dop piemontesi (+24 per cento) o quelli toscani (+20).
Naturalmente non tutti crescono ugualmente. In termini di volume, secondo i dati Iri elaborati da Coldiretti, le tipologie che crescono di più sono Lugana (+46,4 per cento per volume e +48,7 per valore), Sagrantino di Montefalco (+43,7 e +41,7), Barolo (+42,8 e +43,1) e Brunello di Montalcino (+41,5 e +47,0), anche se il vino italiano più venduto resta il Labrusco, con 15,1 milioni di litri, seguito dal Chianti (10,9) e Montepulciano d'Abruzzo (9,0).
Altre tendenze, che emergono dal recente rapporto di Mediobanca sul 2020, la grande distribuzione ha visto salire la propria incidenza salire (38 per cento rispetto al 35,3 del 2019), mentre si contraggono canale Horeca (13,4 dal 17,9% al 13,4% (-32,7%) e wine bar ed enoteche (dal 7 al 6,7). Sono esplose anche le vendite online: +74,9 per cento le vendite sui portali web di proprietà, +435 per le piattaforme online specializzate, +747 per i marketplace generalisti.
Non sorprenda dunque il fatto che il vino sia al primo posto tra le filiere agroalimentari italiane. Lo certifica l'indice di competitività AGRI4indexTM elaborato da Nomisma e Unicredit e presentato proprio alla vigilia del Vinitaly. Con un valore di 68 la filiera vitivinicola supera quella lattiero-casearia (56), quella della pasta (54) e dell'ortofrutta (51).
Non solo: l'Italia supera la Spagna (48) anche se è ben dietro la Francia (76), soprattutto a causa di un gap nel posizionamento del prezzo. Le regioni vitivinicole più competitive d'Italia sono Veneto, Toscana, Trentino, Alto Adige e Piemonte, quelle che non a caso detengono il 77 per cento dell'export nazionale.
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