Bignardi, il cancro e la beffa "Mi sfottevano per i capelli"

L'ex direttrice di Raitre: «Quando ho tolto la parrucca mi hanno attaccato». Maionchi: «Fate i controlli»

Bignardi, il cancro e la beffa "Mi sfottevano per i capelli"

La lista delle confessioni si allunga. Anche se i racconti arrivano ora che la parte più difficile, quella della notizia che piomba all'improvviso, degli interventi a cui sottoporsi e delle terapie successive, è ormai alle spalle. Dopo Nadia Toffa, è l'ora del coming out di Daria Bignardi. «Ho scoperto di avere un cancro facendo una mammografia di controllo, appena terminata l'ultima stagione delle Invasioni Barbariche», ha raccontato a Malcolm Pagani su Vanity Fair. Sei mesi dopo, la proposta di Campo Dall'Orto per dirigere Rai3. E anche lei, come la conduttrice de Le Iene, aveva perso i capelli per le terapie anti-tumore. Ma allora nessuno sapeva: «Il giorno della nomina, quando c'è stata la conferenza stampa a Roma avevo la parrucca. L'ho portata per diversi mesi (...). Poi non ce l'ho fatta più. Un bel giorno l'ho tolta dalla sera alla mattina e mi sono presentata al lavoro con i capelli corti e grigi che stavano ricrescendo sotto. Ma non ho dato spiegazioni, tranne che ai miei vicedirettori». Tanto che in Rete è partito il gioco al massacro su quell'acconciatura di cui nessuno immaginava l'origine.

La Bignardi dice che è la prima e l'ultima volta che ne parlerà pubblicamente. E anche così rilancia un tema importante: raccontare può aiutare? E chi? «Non è liberatorio, liberatorio un cazzo», dice al Giornale nel suo solito stile, fuori dai denti, Mara Maionchi, produttrice discografica, che invece due anni fa ha deciso di parlare del tumore che l'ha colpita a entrambi i seni subito dopo essersi sottoposta a un intervento chirurgico. «Io ho deciso di farlo per spiegare alle donne cosa può succedere e che la prevenzione è fondamentale, che le ecografie mammarie vanno fatte presto, già a 30-35 anni perché se il tumore viene preso per tempo, le chance di guarigione sono molto più alte. Anche alle mie due figlie rompo sempre le scatole. E dico alle trentenni di dedicarsi due ore l'anno per un esame importante. E dopo i 40 di fare la mammografia». Parlare dunque, perché possa essere utile agli altri. «Ma solo quando e se te la senti». E se può servire a uscire da quel senso di vergogna che spesso accompagna i malati e i loro familiari: «È vero, succede - spiega ancora Maionchi - Mi ricordo quando mi operarono, un'altra paziente mi riferì che la mamma le aveva chiesto di non raccontare a nessuno, come se fosse una colpa. E invece parlare non è facile ma può aiutare a liberarsi. Ed è sicuramente utile a ricordare che gli esami vanno fatti».

Della stessa opinione anche il direttore de Linkiesta, giornale online, che su Facebook ha deciso anche lui di condividere la sua esperienza, ora che è superata. «Ero un po' indeciso se scrivere o meno 'sta cosa. Sono cazzi miei in fondo. E non interessano a nessuno. Poi ci ho ripensato, non sono cazzi miei e ora vi spiego il perché». Comincia così il post del giornalista, anche lui impegnato a fare del proprio racconto l'occasione per ricordare come un esame fatto in tempo (nel suo caso un controllo ai nei avvenuto per caso, grazie alla sollecitazione della moglie) possa salvare la vita per una malattia, il cancro, in cui il tempo della diagnosi, in alcune delle sue forme, può fare la differenza. «La prevenzione e il controllo non sono paranoie da ipocondriaci. A volte sopravvalutiamo la nostra fortuna e la nostra invincibilità. Per paura degli ospedali e dei medici probabilmente. O per quella strana forma di pensiero magico per cui se non so nulla, non ho nulla».

Questione su cui insiste la Maionchi, con la sua solita ironia: «Ogni tanto una revisione della macchina

non fa male. Insistiamo sui controlli. Io certo che ci penso ancora, il giramento di scatole è uguale, non sai mai cosa succederà. Speriamo bene ma io sono molto napoletana. Pensiamo a vivere che a morire ci vuole niente».

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