Bonafede come Ponzio Pilato: occhi chiusi sul caso Berlusconi

Il ministro in Senato dribbla le richieste: "Accertamenti solo su toghe in servizio". Ira delle opposizioni (e di Iv)

Bonafede come Ponzio Pilato: occhi chiusi sul caso Berlusconi

U n po' se ne lava le mani, un po' prende un anno di tempo. Stanato grazie a una interpellanza di Italia viva dal silenzio in cui si era rintanato, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ieri, in Senato, parla per la prima volta delle clamorose rivelazioni del giudice Amedeo Franco sulla sentenza che condannò Berlusconi. Nei giorni scorsi, mentre in tutta Italia venivano ascoltate le registrazioni del colloquio tra Franco e il Cavaliere, la descrizione sconcertante del «plotone d'esecuzione» designato per ordine superiori a condannare l'ex premier, il Guardasigilli - in genere assai loquace - taceva. Fino a quando dall'intero gruppo dei renziani al Senato, e quindi dall'interno della maggioranza di governo, è venuta l'interpellanza che chiedeva al ministro se e quali misure intendesse prendere per capire cosa accadde davvero nei giorni cruciali dell'estate del 2013, quando la condanna emessa a Milano nel processo per i diritti tv approdò in Cassazione. «Lei non può fischiettare e girarsi dall'altra parte, come se nulla fosse accaduto», dice al ministro il capogruppo di Iv al Senato, Davide Faraone, presentando l'interrogazione.

E invece è esattamente quanto accade. Bonafede se la sbriga in un minuto: spiega che il ministero può compiere «accertamenti tendenti a chiedere eventualmente l'esercizio dell'azione disciplinare», che «l'accertamento deve muovere da fatti circostanziati e specifici, relativi esclusivamente a magistrati attualmente in servizio». E che comunque «laddove» emergano illeciti, «gli uffici effettueranno tutte le valutazioni del caso nel termine annuale loro assegnato». Palla in tribuna, insomma. Se ne riparla nel 2021, secondo il Guardasigilli.

Nella sua brevità, la risposta di Bonafede indica chiaramente la via che il ministro intende seguire per chiudere la faccenda: liquidare le rivelazioni come un episodio che riguarda solo un morto (Franco) e un ex magistrato (il presidente del collegio, Antonio Esposito). Quindi nessuna inchiesta, nessuna verità scomoda da portare alla luce. E pazienza se, come dice Faraone nel suo intervento, «quella sentenza ha tenuto fuori dal Parlamento l'uomo che ha guidato più a lungo un governo nella storia d'Italia».

Eppure di cose da capire ce ne sarebbero tante, e ci sono tanti magistrati ancora in servizio cui sarebbe interessante chiedere la loro versione dei fatti. Come due degli altri giudici che nell'agosto 2013 componevano la sezione feriale della Cassazione, e decisero insieme a Esposito e Franco la sorte di Berlusconi: Claudio Ercole Aprile e Giuseppe De Marzo. O come Franco Ippolito, allora segretario della Cassazione; come i magistrati della Procura e della procura generale di Milano che premettero per anticipare l'udienza. E, soprattutto, c'è bisogno di capire se le pressioni dall'alto di cui parlò Amedeo Franco - e non solo a Berlusconi - esistessero solo nella sua testa.

Ma questo al ministro non sembra interessare. Così, appena Bonafede spegne il microfono, Davide Faraone replica dichiarandosi totalmente insoddisfatto e annunciando che a questo punto Italia viva sceglie l'unica strada ancora possibile per sbrogliare la matassa: una commissione parlamentare d'inchiesta.

Un annuncio che viene accolto con soddisfazione da Forza Italia: «Abbiamo ascoltato con grande interesse - dice la capogruppo Annamaria Bernini - la posizione espressa dal presidente di Italia Viva Faraone, che ha di fatto aderito alla nostra proposta di una commissione d'inchiesta monocamerale, che va costituita immediatamente per fare luce su una pagina oscura sia del l'attività giudiziaria che della vita parlamentare».

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