Il boss stragista porta l'Italia alla Corte europea. Giustizia troppo lenta, violati i diritti umani

De Simine, con gravi reati alle spalle, giudicato 15 anni dopo un omicidio

Il boss stragista porta l'Italia alla Corte europea. Giustizia troppo lenta, violati i diritti umani

È il classico caso dell'uomo che morde il cane. Un manuale del giornalismo. Solo che al posto dell'uomo c'è un boss criminale e al posto del cane c'è lo Stato italiano. Felice De Simine, 54enne con precedenti per strage, omicidio (in concorso con altri) e tentato omicidio, ha deciso di denunciare l'Italia alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Motivo? Avrebbe subito un processo «con modalità illegittime e con la violazione del diritto di difesa». Processo che gli ha inflitto una condanna a 7 anni e 9 mesi di reclusione per tentato omicidio. Condanna passata in giudicato a dicembre 2022, a 15 anni dai fatti commessi nel 2007.

Un tempo decisamente mastodontico per la giustizia nostrana. Basti pensare che l'udienza di appello è stata fissata quasi dieci anni dopo la condanna di primo grado. E così i legali del boss, gli avvocati Massimo Chiusolo e Claudia Terlizzi, hanno presentato ricorso per violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, cioè la disposizione sul diritto a un processo equo. Il nodo della questione rappresenta proprio il tempo, giudicato non ragionevole, e il «rispetto delle garanzie difensive e del contraddittorio». Come se non bastasse, poi, il fascicolo del boss sarebbe sparito e ricostruito parzialmente soltanto due giorni prima dell'udienza. Così facendo, secondo la difesa, «l'imputato non ha potuto disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa». Il tempo, appunto. Tutto ruota attorno a Chronos e a Dike, due divinità che faticano spesso a trovare un punto di incontro. E a farne le spese, come sempre, sono gli imputati.

Adesso, la parola passa alla Cedu che, nel caso in cui dovesse accettare il ricorso del boss, attiverebbe la nuova procedura introdotta, a ottobre del 2022, dalla riforma Cartabia. E cosa prevede? L'articolo 628 bis del codice di procedura penale contempla un'ipotesi speciale e innovativa di revisione del processo con richiesta di revoca della sentenza irrevocabile di condanna e cessazione dell'esecuzione e degli effetti della stessa. Insomma, il boss potrebbe uscire immediatamente di galera.

Ma chi è Felice De Simine? Originario di Molfetta e residente a Ruvo di Puglia, il suo è un nome molto noto agli investigatori e alle cronache giudiziarie. La prima condanna ai suoi danni fu quella di strage: sei anni di carcere. Il 7 maggio 1993 parcheggiò, con altri complici, una Fiat Regata, piena di tritolo, davanti all'ingresso della sede del Comune di Terlizzi. L'agente Gioacchino De Sario, insospettito, aprì lo sportello innescando l'ordigno e venendo ucciso dalla deflagrazione.

Dopo la scarcerazione, avvenuta neanche tre anni dopo, sempre a Terlizzi De Simine ammazzò, in concorso con altre persone, Gioacchino Bisceglia, giovane falegname di 26 anni colpevole di essersi opposto al pagamento di un riscatto per

riottenere l'auto che gli era stata rubata. Per questo reato, il boss molfettese venne condannato a dodici anni di galera. E poi arriviamo al 10 marzo 2007, giorno in cui fu ammanettato per il tentato omicidio di Aurelio Maggio.

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