Ancora una giornata barricata nel suo ufficio al primo piano di Palazzo Montecitorio. Ieri senza un particolare via vai dei big di Fratelli d'Italia, come era invece accaduto nei giorni scorsi. Se nel partito si ragiona inevitabilmente sulla formazione del governo che verrà e sulle poltrone in ballo, Giorgia Meloni è infatti concentrata soprattutto sul dossier energia, ben consapevole che il caro bollette sarà difficile da arrestare e rischia di portare il Paese a un passo dalla recessione. Le molte telefonate, così, sono dedicate in buona parte alla questione gas e alle cattive notizie che filtrano da Bruxelles in vista del Consiglio informale di giovedì e venerdì a Praga. Con contatti ripetuti tra Meloni, Palazzo Chigi e il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Perché, spiega la premier in pectore, «la nostra priorità è fermare la speculazione sul gas» e con Mario Draghi non c'è alcun «inciucio» ma semplicemente «una transizione ordinata nel rispetto delle istituzioni» come si addice a «persone normali».
Il draft della dichiarazione finale del summit di Praga, però, non è affatto confortante. E lascia intendere che anche nel successivo Consiglio Ue in programma a Bruxelles il 20 e 21 ottobre non si prenderà alcuna decisione sul tetto al prezzo del gas. La prima bozza delle conclusioni di Praga, infatti, torna a invitare la Commissione a «proporre soluzioni praticabili per ridurre i prezzi attraverso un price cap al gas» formulando proposte «nei mesi a venire». Insomma, un nulla di fatto, visto che nove volte su dieci la «brutta copia» delle conclusioni coincide con la dichiarazione finale. Non è un caso che Meloni ieri abbia voluto mettere in chiaro che le decisioni di Bruxelles sono «il frutto del lavoro e dell'esecutivo ora in carica». Un modo educato per dire che un eventuale fallimento sul fronte europeo certo non può essere imputato a lei. E infatti la leader di Fdi pare non abbia affatto gradito i rumors (alimentati da una dichiarazione di Matteo Renzi) che la vorrebbero investita dell'incarico in tempi così rapidi - davvero improbabili a guardare l'agenda dell'elezione dei presidenti delle Camere e delle successive consultazioni - da andare lei al Consiglio Ue di Bruxelles il 20 ottobre. Con il rischio che la sua prima uscita internazionale coincida con un gigantesco buco nell'acqua. Tanto che Giovanbattista Fazzolari, quotato come prossimo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ci tiene a dire che a prescindere «da chiunque andrà a metterci la faccia» a Bruxelles il 20 ottobre, il dossier energia in Ue «lo sta curando l'attuale governo».
È per tutte queste ragioni che la leader di Fdi sta già ragionando su un quarto decreto Aiuti (il dl Aiuti ter del governo Draghi scade infatti il 23 novembre e i tempi di conversione sono strettissimi per caricarlo di ulteriori interventi). Un provvedimento che Meloni immagina in continuità con quelli dell'esecutivo uscente, puntando ad un budget di 20 miliardi (10 del cosiddetto tesoretto e 10 di extragettito dalle entrate tributarie dell'ultimo quadrimestre).
Ma sul tavolo della premier in pectore ci sono altre due questioni chiave. La prima è la necessità di aprire un canale di confronto con la Francia. E - non è un mistero - tra Meloni ed Emmanuel Macron il rapporto non è certo idilliaco. La scorsa settimana, per dire, il primo ministro francese Elisabeth Borne ha fatto sapere che Parigi «vigilerà» sulla tutela dei diritti umani in Italia dopo la vittoria del centrodestra. Parole a cui ha replicato il capogruppo di Fdi Francesco Lollobrigida, invitando la Francia a «rispettare il voto degli italiani». Necessariamente, però, l'Italia dovrà avere un canale aperto con Parigi. Che, visto l'approccio della Germania, è l'interlocutore principale in Europa per provare a ragionare su una soluzione sul modello Sure (permettere a tutti gli Stati dell'Ue di ottenere debito comune a un tasso molto più agevolato perché garantito dalla Commissione). Una strada invocata proprio ieri dai commissari europei Paolo Gentiloni (Economia) e Thierry Breton (Mercato interno).
Il secondo punto su cui sta lavorando Meloni è l'ipotesi di un intervento in chiave interna sulla scia di quanto hanno già fatto Spagna e Portogallo. Non sul price cap, perché il mercato dell'energia italiano è troppo interconnesso con quello europeo.
Ma sul disaccoppiamento del costo del gas da quello dell'energia elettrica, compresa quella prodotta da fonti rinnovabili. Una misura allo studio da tempo anche dall'attuale governo, su cui in più occasioni Draghi si è pubblicamente detto d'accordo.
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