Chiusa la partita sulla presidenza delle Camere, si apre quella sul governo. Tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio, i due leader usciti meglio dalla partita di Montecitorio e Palazzo Madama, si è saldato un asse che ha permesso di eleggere i vertici delle due assemblee. L'ascesa di Maria Elisabetta Casellati e Roberto Fico rispettivamente alla seconda e alla terza carica dello Stato, si deve a un patto 5 Stelle - centrodestra. Che non si esclude possa costituire anche la base del prossimo esecutivo, se davvero nessuna delle forze in campo riuscirà a formare una maggioranza autonoma. Nulla è ancora deciso, e per avere un quadro più chiaro bisognerà attendere le consultazioni, al via subito dopo Pasqua. Ma nel frattempo, Di Maio e Salvini rivendicano il diritto alla poltrona di presidente del Consiglio. E nessuno dei due sembra disposto a cedere il passo all'altro.
I punti di convergenza non mancano. Dagli interventi sulle tasse e sulla legge Fornero, fino all'ambizione di mettere mano alla legge elettorale, per introdurre un correttivo maggioritario. «Il prossimo premier non potrà che essere indicato dal centrodestra» ha però chiarito ieri Salvini, in un messaggio sui social network. Il capo del Carroccio è uscito rafforzato dalle trattative sulle presidenze. Vuole consolidare il suo ruolo di guida della coalizione, l'unica strada che gli consentirebbe di sedere al tavolo con Di Maio in posizione di superiorità. Messi assieme, i parlamentari di centrodestra sono più numerosi dei grillini. Ma la Lega, da sola, ha ottenuto circa la metà dei voti dei 5 Stelle. Senza gli alleati alle spalle, il numero uno leghista rischierebbe di fare il socio di minoranza in un governo pentastellato. Una fuga dalla coalizione sarebbe un male anche per il segretario del Carroccio. Le speranze dei leghisti di andare a Palazzo Chigi sono aumentate. Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Salvini e capogruppo alla Camera, immagina che il suo leader «sarà incaricato» di formare un governo, ha detto, parlando alla trasmissione «Faccia a faccia».
Di Maio, in un'intervista al Tg1 la sera dell'elezione di Fico alla guida della Camera, non ha però dato l'impressione di mollare la presa: «Il M5s ha ottenuto 11 milioni di voti e il 32%, con un candidato premier, e spero si possa tener conto di questo risultato». Concetti ribaditi in un'intervista rilasciata ieri al Corriere, e che lasciano intendere la non disponibilità del capo politico dei 5 Stelle a dare il via libera a un esecutivo guidato dal leghista. Che però, anche secondo Beppe Grillo è uno di cui ci si può fidare: «Quando dice una cosa poi la mantiene», ha commentato ieri il garante.
Ecco che, se davvero il centrodestra salvinizzato andasse a nozze con i grillini, potrebbe verificarsi un braccio di ferro tra i due aspiranti premier. La soluzione all'impasse potrebbe essere nelle parole utilizzate ieri dal capo leghista. Salvini parla di premier «indicato dal centrodestra». Non per forza un nome preso dall'interno della coalizione, dunque. La formula linguistica sembra aprire a una personalità terza. Un ex presidente della Consulta, dicono alcuni. Un più generico esponente della società civile, si suggerisce nei corridoi dei palazzi della politica. Il punto importante è che un accordo di programma tra il capo del Carroccio e il leader pentastellato non basterebbe a varare l'esecutivo. Bisognerebbe convergere su un nome per Palazzo Chigi.
Di Maio, nonostante controlli il primo gruppo parlamentare, messo accanto al centrodestra unito si troverebbe in minoranza. E forte del risultato ottenuto il 4 marzo, non vuole andare al rimorchio di nessuno. Neppure dell'uomo che in questi giorni lo ha aiutato a prendersi Montecitorio senza passare per Silvio Berlusconi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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