E va bene che non a tutti deve per forza stare simpatico Flavio Briatore, e che era lecito dormire tranquilli pur sapendolo ingiustamente privato del suo yacht. Ma che la vicenda giudiziaria che ha investito l'inventore del Billionaire si concluda solo ieri, con l'assoluzione «perché il fatto non costituisce reato», a dodici anni dall'arrembaggio con cui la Guardia di Finanza - su ordine della Procura di Genova - si impossessò in mare aperto del Force Blue è una di quelle brutali assurdità che dovrebbero spingere chiunque ad indignarsi. Perché la stessa inverosimile durata dei round giudiziari può venire inflitta a chiunque: anche a chi non ha le spalle larghe - caratterialmente e economicamente - come l'imprenditore di Verzuolo. E se anche uno tosto come lui, uno passato indenne per la Formula 1 e per Naomi Campbell, ieri dice che è stato «un vero calvario», è facile immaginare a quanti poveri cristi senza nome tocchi ogni giorno portare croci più pesanti. Certo, nel caso di Briatore brillano assurdità particolari. Una è senza dubbio la sparizione dello yacht sequestrato, e intorno al quale si è combattuta la lunga battaglia giudiziaria (Briatore era accusato di averlo importato illegalmente, senza pagare le tasse, fingendo di adibirlo a noleggi, e usandolo invece per i fatti propri): con la sentenza di ieri il natante andrebbe restituito al proprietario, peccato che nel frattempo i giudici lo abbiano messo all'asta senza aspettare la fine del processo. Se l'è comprato, facendo un affarone, Bernie Ecclestone, e ora Briatore può solo sperare di recuperare una parte dei quattrini. Ma ancora più eclatante è quanto accaduto nel corso del processo: che non è durato dodici anni per caso, o perché i giudici erano oberati di lavoro, o perché i difensori ammucchiavano cavilli. Ma perché la Corte d'appello di Genova nel 2019 se ne infischiò della sentenza della Cassazione che aveva riconosciuto la regolarità dell'operazione, e confermò il sequestro dello yacht.
Costringendo Briatore a un nuovo ricorso in Cassazione: dove il 9 giugno dell'anno scorso i giudici scrissero testualmente che per ridare torto a Briatore la Corte genovese «si comporta come se tutto ciò che c'è scritto nella sentenza di annullamento non la riguardasse». Una sorta di menefreghismo giudiziario: che, questo sì, forse si spiega solo perché l'imputato si chiamava Flavio Briatore, ed era preda troppo grossa per lasciarla sfuggire.
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