Un brindisi per l'Italia: le colline del Prosecco patrimonio dell'Unesco

I rilievi della Valdobbiadene e di Conegliano (quelli della docg) sono «panorama culturale»

Un brindisi per l'Italia: le colline del Prosecco patrimonio dell'Unesco

Per una volta sul vino con cui brindare non ci sono dubbi: un Prosecco Conegliano Valdobbiadene docg. Quello che viene prodotto sulle superbe colline del trevigiano che ieri sono state riconosciute patrimonio dell'umanità nel corso della 43esima sessione del comitato mondiale Unesco a Baku. nella capitale dell'Azerbaigian erano accorsi politici e amministratori del territorio veneto, visto che il successo era nell'aria, dopo che l'anno scorso a causa del voto contrario di Spagna e Norvegia il trionfo era stato solo sfiorato. Quest'anno è stato fatto un sostanzioso make-up al dossier presentato al comitato e i tappi sono saltati.

In realtà il vino è solo un attore non protagonista di questa vicenda. A finire nel registrone dei siti tutelati dall'agenzia dell'Onu come «paesaggio culturale» modellato da un'interazione evolutiva tra la terra e l'uomo è la bellezza del paesaggio della Valdobbiadene e l'opera dei viticoltori che hanno pettinato per secoli questi dolci rilievi disposti a creste parallele tra i 150 e i 350 metri di altitudine. Le colline di Conegliano e Valdobbiadene sono il 55esimo sito italiano patrimonio dell'umanità e il decimo al mondo iscritto alla categoria di «paesaggio culturale», dopo i portoghesi Alto Douro e l'isola Pico nelle Azzorre, l'ungherese Tokaj, lo svizzero Lavaux, l'italiano Langhe Roero e Monferrato, i francesi Champagne, Borgogna e Saint-Emilion e l'austriaco Wachau.

Insomma, i soloni di Baku non hanno premiato il vino ma le colline in cui esso è prodotto. Eppure non c'è dubbio che questo riconoscimento sia in qualche modo una consacrazione definitiva per un vino che negli ultimi decenni ha conquistato il mondo e che è la spremuta di una terra di contadini tenaci che fino a qualche decennio facevano però fatica a tirare avanti.

Il Prosecco è una storia di successo ma non per caso. E vale la pena spiegare che non tutti i vini con le bollicine a base di uve Glera sono la stessa cosa. Il Prosecco doc (anzi: dop) è prodotto da migliaia di aziende che lavorano in nove province distribuite tra due regioni, il Veneto e il Friuli. Questo enorme distretto produttivo - a cui il successo globale ha spesso dato alla testa, spingendo alcuni viticoltori a impiantare vigneti ovunque e comunque, con una inevitabile flessione qualitativa - ha invece il suo cuore storico e qualitativo nell'area molto più limitata della Valdobbiadene, che comprende 15 comuni della provincia di Treviso, e in Conegliano, «capitale» del territorio nonché sede della prima scuola enologica d'Italia. Qui si produce in modo molto meno intensivo, si pratica autentica enologia «eroica», ci si fregia della Docg ottenuta esattamente dieci anni fa, si conoscono vette produttive come le Rive, il Prosecco che arriva dalle colline più scoscese del territorio, e come il Cartizze, vero «cru» prodotto nei soli 107 ettari di vigneto presenti in una collina a forma di pentagono che si estende a San Pietro di Barbozza, Santo Stefano e Saccol, nel comune di Valdobbiadene.

Insomma, si fa presto a dire Prosecco, parola che in mezzo mondo, e anche in gran parte dell'Italia, è sinonimo di vino con le bolle poco impegnativo e dal prezzo contenuto, anche grazie al fatto che viene prodotto non con l'impegnativo metodo classico ma con la rifermentazione in autoclave. La sua fortuna apparentemente intramontabile è legata alla lieve eleganza, al fondo leggermente dolce che lo rende adatto anche a un pubblico poco esperto, alla bassa gradazione alcolica, alla versatilità, al talento per sposarsi a piatti leggeri e a finger food che vengono snocciolati nel corso degli aperitivi.

E poi sì, ci sono le dichiarazioni dei politici.

Come il ministro delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo Gian Marco Centinaio («una giornata storica per il Veneto e l'Italia intera»), il presidente del Veneto Luca Zaia («Un sogno ralizzato») e il ministro dell'Interno e l'inesorabile vicepremier Matteo Salvini («Evviva!»). Eggià: evviva. E cin cin.

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