Da un lato la Corte suprema svedese annulla la decisione della polizia di vietare di bruciare il Corano, dall'altro l'intelligence di Stoccolma sventa un potenziale attentato di matrice jihadista. Nel giorno dell'ingresso ufficiale della Finlandia della Nato è questo l'humus che si respira a latitudini già ultrasensibili, per via del loro essere periferia nord-orientale dell'Europa, a maggior ragione dopo la guerra in Ucraina.
La magistratura svedese ha ordinato di annullare la decisione presa dalla polizia che impediva di bruciare il Corano durante le manifestazioni delle settimane scorse, fatte per protestare contro la Turchia che chiede l'arresto di militanti curdi in loco. La polizia, secondo quanto stabilito dalla Corte amministrativa d'appello, «non aveva base sufficiente per questa decisione», tenuto conto che le minacce per vietare quei gesti «non erano sufficientemente concrete o legate alle manifestazioni in questione».
La sentenza potrebbe rappresentare un ostacolo all'adesione del Paese alla Nato, anche perché la reazione turca va nella direzione (forse) auspicata da Erdogan: ha affermato che non consentirà a Stoccolma di aderire all'Alleanza Atlantica fintanto che il paese scandinavo permetterà proteste di questo genere. Ankara come condicio sine qua non per l'adesione di Stoccolma alla Nato ha chiesto l'arresto di militanti curdi presenti su territorio svedese. Nello scorso febbraio la polizia aveva detto no ad una nuova richiesta di bruciare una copia del Corano dinanzi all'ambasciata irachena in Svezia, sostenendo che i timori per i rischi legati alla sicurezza non erano sufficienti a limitare il diritto di manifestare. Ma in quella circostanza la polizia svedese si era opposta ai roghi del Corano davanti alle ambasciate dal momento che le proteste andate in scena in precedenza avevano reso la Svezia «un obiettivo prioritario per gli attacchi».
Nel frattempo l'agenzia per l'intelligence Sapo ha agito in maniera preventiva contro 5 sospettati: gli 007 svedesi li hanno arrestati per aver pianificato un attacco terroristico in risposta alle azioni del politico di estrema destra Rasmus Paludan, che aveva bruciato una copia del Corano. L'operazione, hanno fatto sapere, è stata resa possibile dopo un lavoro sinergico di intelligence e polizia nelle località di Eskilstuna, Linkping e Strangnas che ha sgominato sospettati legati a una rete terroristica con sede in Svezia. «Non possiamo aspettare che avvenga un crimine prima di agire», ha sottolineato Susanna Trehorning, vicedirettrice del dipartimento antiterrorismo, secondo cui c'erano «collegamenti internazionali con l'estremismo islamista violento».
La radio pubblica svedese ha affermato che i sospetti avevano legami con il gruppo dello Stato islamico.
Il tutto mentre «la trattativa» tra Turchia e Nato continua: il sì di Ankara all'ingresso della Finlandia è il frutto di una lunga negoziazione geopolitica, che ha un collegamento preciso con la guerra in Ucraina, mentre restano sul tavolo parallelamente sia il via libera di Erdogan alla Svezia, messo in stand by, che una serie di altre partite interconnesse, come la fornitura di F-16 Usa alla Turchia, il puzzle da ricomporre in Siria e le elezioni del prossimo maggio in Turchia.
È chiaro che l'avvicinarsi delle urne mette il presidente turco in una posizione che al contempo è concava e convessa: da un lato non può apparire, sul fronte interno, eccessivamente conciliante con i partner dell'alleanza, con il rischio di essere criticato dalla frangia militare del suo partito; dall'altro il suo voler fare asse con Pechino e Mosca produce effetti a catena, anche nel quadrante euromediterraneo, dove un sostanziale aiuto gli è appena giunto dall'Arabia Saudita sotto forma di una linea di credito da 5 miliardi di dollari per le disastrate finanze pubbliche turche.
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